La Francia vieta l'uso dell'abaya nelle scuole: questa la decisione che si è abbattuta sul tradizionale abito femminile islamico che copre tutto il corpo tranne viso e mani. La decisione è stata annunciata dal Ministro dell'Istruzione Gabriel Attal, che ha giustificato la scelta affermando i valori di laicità introno ai quali orbita la scuola pubblica francese.
Ha spiegato Attal.
Non contenta l'opposizione, che parla di una «nuova guerra di religione» e della nascita di una «polizia dell'abbigliamento».
L'abaya al centro delle polemiche francesi in questi giorni è un tradizionale abito islamico indossato dalle donne, particolarmente popolare e diffuso tra le ragazze di banlieue. L'abito, di per sé, appartiene alla tradizione islamica senza essere direttamente associato ad un valore religioso. Tuttavia, i rappresentati islamici tendono a consigliare l'uso di questo capo d'abbigliamento, perché lascia scoperto solo viso e mani, in conformità con le norme della comunità ma meno pesantemente del burqa, da cui traspaiono solo gli occhi.
Il vicepresidente del Consiglio francese del culto musulmano, Abdallah Zekri, ha ribadito la natura non religiosa dell'abaya: «si tratta di una moda», ha detto Zekri, spostando dunque il dibattito sulla possibilità di proibire in classe l'uso di un abito tradizionale, non religioso.
Ma il Ministro Attal non fa marcia indietro. Secondo il Ministro dell'istruzione non c'è dubbio: l'abaya è «ostentazione del segno religioso» e costituisce anche un «attacco politico» davanti al quale la Francia è tenuta ad appellarsi alla sua laicità e porre dei paletti precisi. Stessa sorte capita anche al qamis, la versione maschile dell'abito tradizionale islamico:
Le reazioni dell'altra sponda dell'emiciclo non si sono fatte attendere. La sinistra radicale di La France Insoumise ha alzato un grido di protesta contro la «polizia dell'abbigliamento» con il tweet della deputata Clementine Autain. Così prosegue il post:
Ugualmente duro è il leader del partito, Jean-Luc Melenchon, che parla direttamente di una «nuova guerra di religione» che si compierà in Francia, a suon di divieti e rivendicazioni, tra i banchi di scuola ripopolati a settembre.