Leggere la carriera di Stefano Cusin lascia a bocca aperta. Partito dalla provincia toscana nei settori giovanili per arrivare in Africa dove ha girato l'intero continente fra le esperienze con le nazionali del Camerun, del Sud Sudan fino alle Comore che guida attualmente. Ma anche squadre di club con la vittoria del campionato libico con Al-Ittihad Tripoli e l'esperienza in Sudafrica con i Black Leopards. Senza dimenticare l'avventura in Asia nel Golfo Persico insieme a Walter Zenga conosciuto quando allenava in Bulgaria. Nel mentre ci ha aggiunto anche un anno in Palestina con una proposta nata per caso. In esclusiva per Tag24 abbiamo intervistato Stefano Cusin, l'allenatore giramondo.
Sei un cittadino del mondo, come mai questa scelta calcistica?
È stato un caso, mi è sempre piaciuto fare l’allenatore e sono partito dall’Italia con i settori giovanili. Mi è arrivata l’opportunità con il Camerun Under 20 e l’ho colta immediatamente, di paese in paese ho continuato questo percorso. Per me non fa differenza allenare in Italia o all’estero, lo vedo come un arricchimento personale, professionale e culturale. E’ iniziato in modo casuale e sta proseguendo perché mi riempie di soddisfazioni
Cosa significa e quali difficoltà ci sono nel lavorare nel calcio africano visto che lo hai conosciuto dalla Libia al Sudafrica?
Ho cominciato in Africa per la conosco molto bene. Ho iniziato nel Camerun, poi sono diventato Direttore Tecnico della nazionale della Repubblica del Congo, ho allenato l’Al-Ittihad Tripoli di Gheddafi in Libia, sono stato in Sudafrica, la nazionale del Sud Sudan e ora le Comore. Ho praticamente girato l’intero continente in tutti i punti cardinali includendo le isole. Assomiglia al Sudamerica dove i ragazzi arrivano dal calcio di strada per cui parliamo di avventure umane molto coinvolgenti. Le difficoltà sono organizzative, di strutture e di mentalità ma garantiscono grandi soddisfazioni. Ora il contesto sta cambiando visto che molti giocatori sono nati e cresciuti in Francia. E’ un continente con le sue difficoltà ma con un enorme potenziale, è una terra che va capita perché non è per tutti visto che è molto dura. Non mi pento della mia decisione, è un percorso che rifarei completamente perché tutte le esperienze mi hanno lasciato qualcosa di importante
Ci racconti la Palestina che tu hai vissuto fra calcio e realtà politica?
Una avventura nata in modo del tutto casuale, era dicembre 2014 quando Zenga aveva appena rifiutato il Cagliari e c’era stato un contatto con la federazione serba quando mi disse che sarebbe rimasto fermo fino a giugno. Io volevo allenare quando un agente mi ha proposto la Palestina. Non conoscevo il loro calcio, le uniche informazioni riguardavano la questione geopolitica attraverso i telegiornali. Sono andato per curiosità e perché era la Terra Santa e posso dire oggi che è stata l’esperienza umana e sportiva più bella che ho vissuto. Ho conosciuto un popolo straordinario con cui sono ancora in contatto, ho visitato luoghi bellissimi e a livello sportivo ho preso una squadra terzultima che in dieci mesi ha vinto tutti i titoli possibili arrivando a disputare l’AFC Cup che sarebbe l’equivalente asiatico dell’Europa League. Risultati arrivati grazie al lavoro e all’empatia creata con i giocatori, la società e i tifosi. Siamo riusciti a portare la squadra anche in Italia dove abbiamo fatto delle amichevoli con Bologna e Atalanta dimostrando le nostre qualità. Ricordo inoltre la finale di Supercoppa palestinese che abbiamo giocato a Gaza, al telegiornale mostrano tutti posti che ho visitato. La Palestina è nel mio cuore. Arafat diceva che non serviva essere nati in Palestina per essere palestinesi perché è uno stato d’animo e sono perfettamente d’accordo. Non è mio compito entrare nelle vicende politiche ma non si risolve niente con la guerra
Con Walter Zenga avete stretto un rapporto importante lavorando anche nel calcio arabo, ti aspettavi investimenti del genere e fino a che livello può arrivare?
È stato un incontro casuale nel 2008 ad Assisi quando Walter allenava il Catania e io il Botev Plovdiv. Facemmo una amichevole dove ci siamo conosciuti ed è nata una amicizia fraterna tanto che il mio secondo figlio si chiama Walter di secondo nome. È una persona che mi ha insegnato e gli voglio bene, con lui ho intrapreso un viaggio lungo con l’Al-Nassr di Riad in Arabia Saudita, l’Al-Nasr di Dubai, l’Al-Jazira negli Emirati Arabi Uniti e il Wolverhampton in Premier League. In Arabia Saudita ci sono sempre stati stadi pieni, c’è grande amore dei tifosi per il calcio ed era comune trovare giocatori con ingaggi alti. Mi aspettavo questa crescita per il Presidente bin Salman è un uomo ambizioso e ha capito che il calcio è un veicolo incredibile per attirare l’attenzione del mondo. A differenza della Cina ci sono le basi culturali per creare un campionato importante ma non credo possa raggiungere il livello dell’Europa perché mancano troppi presupposti ma in Asia non avrà rivali
È arrivata mai una proposta dall’Italia e vorresti lavorarci?
Diverse volte siamo stati vicini ad un ritorno ma non ho mai fatto distinzione in base alla nazione. Nella mia carriera ho allenato giocatori come Luca Toni, Mark Bresciano e Ricardo Oliveira che hanno vinto così come Saiss del Marocco che ho avuto ai Wolves. In Italia si fa fatica a dare fiducia ad un allenatore che non si conosce, Farioli deve andare a Nizza e magari vince il campionato per dimostrare di poter allenare. Stesso discorso vale per De Zerbi al Brighton. Servono coraggio e idee per dare le opportunità ai giocatori e agli allenatori, serve rinnovare senza basare sempre tutto sulla tattica con modelli tutti uguali. Servono persone che hanno un pensiero diverso. A maggio scorso ho parlato con una squadra di Serie B e sembrava fossimo vicini all’accordo, il presidente era favorevole mentre il Direttore Sportivo aveva dei dubbi in caso di risultati negativi all’inizio. Io mi sono domandato perché avrei dovuto perdere delle partite all’esordio? Esistono anche realtà che vogliono sperimentare ma l’andamento generale è di affidarsi agli allenatori di categoria. Credo che verrò in Italia prima o poi ma devo trovare l’ambiente giusto e una società con un progetto preciso perché devono farmi capire subito che obiettivo hanno e come vogliono raggiungerlo
Sei sorpreso dallo scandalo scommesse illegali che sta vivendo la Serie A?
Non mi capacito della leggerezza di alcuni giocatori e non riesco a darmi una spiegazione. Fare il calciatore è un privilegio e serve rispetto per la professione e per tutti i giovani che non sono riusciti ad arrivare a certi livelli. Firmare per un grande club significa avere un comportamento da grande giocatore, in passato non erano dei santi ma certe leggerezze non le capisco. Per me l’etica è tutto, lo sport è una scuola di vita e questo fa male al calcio italiano. Non ci sono solo carriere rovinate ma anche le famiglie, viviamo un momento dove conta troppo apparire rispetto alla fortuna di fare una professione magnifica
Ci dai un tuo parere sulla Serie A attuale?
E’ sempre un campionato difficile, non sarà il più bello ma è il più tattico. Non abbiamo più i grandi campioni che preferiscono la Premier League o le big europee. Vedo una Serie A livellata con sei squadre che lotteranno per la Champions. Prima eravamo un esempio mentre ora ci mancano le strutture, servono investimenti sui settori giovanili e anche sullo spettacolo perché ci sta troppa tattica. L’80% delle squadre hanno un equilibrio tattico molto definito a scapito del risultato mentre all’estero le partite sono molto più divertenti. Nello sport conta vincere ed è l’unico obiettivo, ma è altrettanto vero che un tifoso vuole anche lo spettacolo quindi serve ricreare interesse. Se non abbiamo il potere economico per mostrare i migliori giocatori allora proviamo ad offrire delle strutture all’altezza e una filosofia di gioco più offensiva
La realtà si chiama Comore, cosa ti ha attratto e cosa offre?
Mi è piaciuto fin da subito quando ho visto la squadra nella Coppa d’Africa a gennaio 2022 in Camerun. È una squadra dove il 95% dei calciatori sono nati e cresciuti in Francia dove giocano fra Ligue 1 e Ligue 2, altri giocano all’estero. È una squadra con valori tecnici importanti anche se io ho ereditato un organico che va ringiovanito. Abbiamo dei ragazzi importanti, dieci giorni fa abbiamo utilizzato tutti giocatori dell’Under 23 in una amichevole contro il Capo Verde in Francia che abbiamo vinto. Parliamo di ragazzi che giocano nelle seconde squadre del Bordeaux o del Nantes quindi mi piace questo trade union fra Europa e Africa. Poi Comore è un Paese bellissimo con una mentalità molto aperta verso l’Europa, parlano il francese e quindi mi trovo a mio agio. Il discorso del Presidente mi è piaciuto quindi ho accettato questa proposta ma è un lavoro difficile perché richiede tanti spostamenti per seguire il campionato locale e convincere i giocatori ad accettare la nostra proposta, ieri ad esempio ero a Berlino. Molti, infatti, hanno il doppio passaporto e la Francia sta sfornando davvero tanti ragazzi che, per citare Adani, vanno a comporre la nazionale blues, la panchina, quelli rimasti fuori dai convocati e le nazionali africane. Questo per dire che mi piace la filosofia di questo posto, posso costruire la squadra con tranquillità
Qual è il sogno nel cassetto?
Il mio obiettivo è sempre stato arrivare a giocare un mondiale con una nazionale africana aggiungendoci una tappa intermedia come la Coppa d’Africa. Ma anche un Europeo o magari la Serie A con una squadra di giovani. Mi piacciono le sfide che sembrano impossibili ma con la volontà e il lavoro si riesce a ribaltare un risultato. Sono riuscito a farlo all’estero e vorrei provarci anche in Italia. Mi devo sentire a mio agio con la società, se trovo questo e concretezza non ho interesse a prendere un incarico solo per l’aspetto economico.