Gli Accordi di Dayton, firmati il 21 novembre 1995, hanno segnato la fine del conflitto in Bosnia e hanno gettato le basi per la nascita di un nuovo Stato balcanico, formato da tre principali componenti etniche: bosniaci, croati e serbi. Il documento finale fu redatto dal presidente jugoslavo Slobodan Milosevic, dal presidente croato Franjo Tudman e dal presidente bosniaco Alija Izetbegovic, con la partecipazione di rappresentanti di Serbia, Stati Uniti, Regno Unito e Germania. Gli accordi furono firmati nella base militare di Dayton, Ohio, e ratificati il 14 dicembre 1995 a Parigi.
Gli Accordi di Dayton rappresentarono un importante passo verso la pace e la stabilità in Bosnia. Firmati dopo intense trattative e sotto la forte pressione diplomatica degli Stati Uniti, guidati allora da Bill Clinton, gli accordi posero fine a una guerra civile che aveva segnato profondamente la regione.
La guerra in Bosnia, iniziata ufficialmente nell’aprile 1992, fu il risultato della disgregazione della Jugoslavia e delle tensioni etniche tra serbi, croati e bosniaci. Gli accordi di Dayton furono cruciali nel fermare le ostilità e nel disegnare un nuovo percorso politico per la Bosnia, caratterizzato da un forte impegno internazionale post-conflitto.
La NATO e l'ONU svolsero ruoli chiave nel processo di pace in Bosnia. La NATO condusse la sua prima operazione di risposta alle crisi in Bosnia con la creazione della Forza di Implementazione, seguita dalla Forza di Stabilizzazione. Queste forze hanno contribuito a creare un ambiente sicuro e stabile per facilitare la transizione democratica del paese.
La cooperazione tra componenti civili e militari è stata fondamentale per il successo delle missioni in Bosnia. La Multinational Specialized Unit, formata da forze di gendarmeria internazionale, ha giocato un ruolo significativo nella gestione dell'ordine pubblico e nel supporto alle elezioni del 1998. Anche l'Arma dei Carabinieri ha fornito un contributo essenziale grazie alla sua specifica preparazione.
Nonostante gli Accordi di Dayton abbiano portato pace in Bosnia, la crescita di partiti nazionalistici interni ha impedito una completa riconciliazione etnica. La Bosnia è ancora considerata un "paese potenziale candidato" per l'adesione all'UE, segno di un cammino ancora in corso verso la piena integrazione europea.
La guerra, segnata da episodi di estrema violenza come l'assedio di Sarajevo, ha spinto alla necessità di un intervento internazionale. La NATO ha avuto un ruolo cruciale, soprattutto dopo i fallimenti delle missioni ONU e dei colloqui precedenti. I bombardamenti della NATO sulla repubblica serba di Bosnia hanno portato a un primo accordo di cessate il fuoco il 14 settembre 1995, seguito da una conferma di 60 giorni il 12 ottobre. Questo aprì la strada a negoziati intensi, culminati con la firma degli accordi a Dayton.
La pace e la stabilizzazione della Bosnia-Erzegovina sono state affidate a un ambizioso progetto di ingegneria istituzionale. Gli allegati degli accordi includevano la nuova costituzione bosniaca, un calendario elettorale e mandati per missioni internazionali. Una massiccia forza di peacekeeping della NATO fu inviata per assicurare l'attuazione dell'accordo.
Gli accordi hanno certamente interrotto il conflitto, ma non hanno portato alla normalizzazione dello Stato bosniaco. La divisione territoriale basata su linee etniche ha impedito il superamento delle divisioni e diffidenze tra le varie comunità.
La Bosnia prevista dagli Accordi di Dayton è stata concepita come una nazione multietnica e unitaria, con forme avanzate di decentralizzazione. Il potere è stato diviso in due entità: la Federazione di Bosnia-Erzegovina e la Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina, riflettendo le linee territoriali e giurisdizionali create dalla guerra civile.
Questa divisione ha creato un paese diviso in due tronconi separati e eterogenei. Mentre la Federazione di Bosnia-Erzegovina si è trovata frammentata al suo interno, la Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina ha mostrato una maggiore omogeneità etnica serba. L'accordo ha anche introdotto un complesso sistema di pesi e contrappesi istituzionali e quote etniche, che hanno portato a frequenti stasi decisionali.
La Republika Srpska (RS), come entità semiautonoma, ha mantenuto stretti legami con la Serbia. La nascita del partito dell’Alleanza degli Indipendenti Socialdemocratici (SNSD) ha accentuato l'indipendentismo e le tendenze filo-serbe.
Sotto la guida di Dodik, la RS ha cercato una maggiore autonomia culturale e politica, tenendo vari referendum sull'indipendenza dal sistema giudiziario bosniaco e sulla celebrazione di una festa nazionale. Tuttavia, tali referendum sono stati considerati illegali da varie istituzioni.
Le relazioni tra Bosnia e Serbia si sono concentrate su questioni come il confine lungo il fiume Drina e il riconoscimento del Kosovo. Nonostante i progressi in alcuni settori, come gli scambi commerciali e la costruzione di infrastrutture, permane una tensione sottostante riguardo a questioni irrisolte del passato.