Ha preso il via oggi, nella maxiaula della prima Corte d'Assise del tribunale di Milano, il processo a carico del 30enne Alessandro Impagnatiello, reo confesso dell'omicidio della compagna Giulia Tramontano, uccisa al settimo mese di gravidanza lo scorso 27 maggio.
Per l'occasione l'uomo, accusato di omicidio pluriaggravato, occultamento di cadavere e interruzione non consensuale di gravidanza, ha lasciato il carcere di San Vittore, presentandosi davanti ai giudici Antonella Bertoja e Sofia Fioretta.
Seduto nella gabbia, per qualche istante avrebbe pianto. I familiari della vittima hanno fatto sapere, attraverso l'avvocato Cacciapuoti, di auspicare che la sua "condotta sia sanzionata come merita".
II 30enne di Senago rischia l'ergastolo. In tribunale, a ormai otto mesi dall'omicidio che ha confessato, si è presentato in jeans e scarpe da tennis, con la barba lunga, scortato dagli agenti della polizia penitenziaria. Lo difendono i legali Samanta Barbaglia e Giulia Geradini.
Oltre a loro erano presenti in aula l'avvocato Giovanni Cacciapuoti, che assiste i familiari della vittima - i genitori Franco e Loredana e i fratelli Chiara e Mario -, l'ex pm Antonio Ingroia e l'avvocato Stefano Tigani, che hanno chiesto di costituirsi parte civile per il Comune di Senago e per l'Associazione Penelope, incontrando il "no" dei giudici.
La prima udienza è stata, infatti, un'udienza tecnica. Tra le altre cose, si è discusso dei testimoni indicati dall'accusa e di quelli indicati dalla difesa, uno psichiatra e uno psicologo (scelta che sottintende la volontà di chiedere che l'imputato venga sottoposto a una perizia). Se fosse riconosciuto almeno parzialmente infermo di mente, Impagnatiello potrebbe evitare il massimo della pena.
In aula, in lacrime, ha rilasciato le seguenti dichiarazioni spontanee:
Le riporta Il Giorno.
Parole pronunciate a fatica: troppo per il padre e la figlia Chiara, che hanno deciso di lasciare l'aula. La risposta della giovane a Impagnatiello è poi arrivata attraverso una storia pubblicata su Instagram:
Questa mattina al suo arrivo in tribunale, il padre aveva dichiarato ai microfoni de La Presse:
Parole che fanno eco a quelle della figlia Chiara, che qualche giorno fa, oltre a chiedere che l'assassino di sua sorella venga condannato all'ergastolo senza sconti, aveva dichiarato di volerlo guardare negli occhi.
I fatti per i quali Impagnatiello è imputato risalgono alla scorsa primavera. Stando a quanto ricostruito nel corso delle indagini, il 30enne avrebbe colpito la compagna con 37 coltellate tra la cucina e il salotto dell'abitazione in cui convivevano a Senago, dopo averla colta di sorpresa alle spalle e averle reciso la carotide per impedirle di urlare.
La 29enne, incinta di sette mesi, era da poco tornata da un incontro organizzato con l'altra ragazza che lui, da oltre un anno, frequentava. Era stata lei a contattarla, dopo essersi accorta delle menzogne che l'uomo aveva raccontato ad entrambe. Era stata lei ad insospettirsi quando, la sera del 27 maggio, non riuscendo più a contattare telefonicamente la giovane - con cui, fino a poco prima, aveva messaggiato -, aveva videochiamato Impagnatiello, temendo che le avesse fatto del male.
Lui le aveva riferito che la ragazza era andata a letto. Più tardi ne aveva denunciato la scomparsa, parlando di un allontanamento volontario seguito a una lite. Si sarebbe scoperto solo qualche giorno dopo che, dopo aver provato a bruciarne il corpo nella vasca da bagno e in un box auto, lo aveva nascosto all'interno del bagagliaio del suo Suv, abbandonandolo dietro all'intercapedine di un garage.
Sentendosi messo alle strette, nel corso di una perquisizione della scientifica, aveva deciso di confessare il delitto, guidando gli inquirenti sul luogo del ritrovamento. Secondo gli accertamenti, prima di accoltellare la giovane e il bimbo che portava in grembo, li avrebbe anche avvelenati, somministrando loro topicidi, ammoniaca e cloroformio. Temeva che sarebbero stati d'intralcio alle sue ambizioni lavorative e non sopportava il fatto che il suo castello di bugie fosse crollato.