Green Border esce nelle sale giovedì 8 febbraio. Il film diretto da Agnieszka Holland ha vinto il Premio Speciale della Giuria all'ultima Mostra del cinema di Venezia. Una storia drammatica che narra le vicende dei rifugiati che si affollano sul confine tra Polonia e Bielorussia, cuore della crisi migratoria scoppiata nel 2021 e tuttora in atto. Nel gioco della politica più cinica e indifferente alla sofferenza umana, tante vite restano sospese in cerca di un luogo che possano finalmente chiamare casa. Scopriamo di più sulla pellicola dedicata a una tragedia contemporanea che ci riguarda tutti.
Nel folto delle foreste lungo la linea di divisione tra Polonia e Bielorussia, definito confine verde (il green border del titolo), una famiglia di rifugiati siriani incontra Julia, un’attivista afgana, e Jan, una giovane guardia di frontiera polacca che sta per avere un bambino. Il gruppo unisce le forze per riuscire ad avere salva la vita, mentre cercano di valicare il confine polacco, irrimediabilmente chiuso al passaggio da un un filo spinato lungo 186 chilometri.
Grazie all'utilizzo del bianco e nero, la storia narrata evoca altre vicende storiche, tutte con lo stesso comune denominatore: l'umanità dispersa che cerca di resistere di fronte a un potere politico sordo alla loro sofferenza. Nella lotta quotidiana per la sopravvivenza, si inseriscono anche gli sforzi dei volontari delle organizzazioni umanitarie, inficiati dalla propaganda polacca, che spinge le guardie di frontiere a considerare i migranti carne da macello.
Nonostante sia un film di finzione, premiato a Venezia 80, molte delle storie raccontate sono veramente accadute. La pellicola infatti assume spesso i toni del documentario, non facendo sconti sulla crudeltà delle condizioni di vita dei rifugiati. Dal 2021, anno in cui è scoppiato il fenomeno su istigazione del governo bielorusso, hanno perso la vita lungo il famigerato green border più di 30mila persone. Eppure, da quando è scoppiato il conflitto tra Ucraina e Russia, la Polonia ha accolto 2 milioni di profughi ucraini, così come racconta la regista alla fine del film. Un contraddizione che pone l'accento su quanto le scelte politiche, influenzate da giochi di potere ed equilibri sovranazionali, produca un'umanità di serie B destinata a soccombere.
Il film di Agnieszka Holland segue la rotta via terra che dal Medio Oriente e dall’Africa porta migliaia di persone ad assieparsi lungo il confine tra Bielorussia e Polonia. La crisi migratoria che origina dal blocco del valico con il territorio polacco, e quindi con il resto d'Europa, è stata prodotta da un precisa volontà politica. Aleksandr Lukashenko, a capo dell'esecutivo bielorusso, usa le migliaia di disperati intrappolati in quella bolla disumana per destabilizzare i Paesi dell'Unione.
Dall'altra parte, la Polonia di estrema destra, guidata da Mateusz Morawiecki fino allo scorso dicembre, risponde con una violenza inaudita, sbarrando la strada ai migranti. Persone che arrivano da Siria, Iraq, Afghanistan, Libia, Mali e Iran, si trovano così a dover subire vessazioni di ogni tipo, spesso morendo anche di fame e freddo. All'inizio, i bisognosi di asilo sono stati invitati dallo stesso governo bielorusso, attraverso una serrato programma che dispensava consigli su come riuscire a passare la frontiera. La maggior parte dei migranti segue questa rotta per riuscire ad arrivare in Polonia o Germania, finendo per essere usata come arma contro la UE.
La pellicola di Holland permette di immergersi in una vicenda dimenticata dai media internazionali, la cui attenzione è ora concentrata sui maggiori conflitti in atto, primi fra tutti quelli in Ucraina e Medio Oriente. Dando un nome e un volto alle persone rappresentate nel film, Holland riporta a galla l'umanità dispersa nelle foreste paludose del green border, fino ad ora destinata ad essere solo dei numeri nella conta dei morti.