"Mi piace ricordare Marco Pantani a braccia alzate". Marco Velo è stato uno dei gregari più fidati di Marco Pantani. Professionista dal 1996 al 2010, l’ex corridore bresciano ha fatto parte della Mercatone Uno dal 1998 al 2001, vivendo così in prima persona ascesa e declino sportivo del Pirata di Cesenatico, dall’anno della doppietta Giro-Tour ai fatti di Madonna di Campiglio, dalla rinascita al Tour de France 2000 fino agli ultimi anni.
In occasione dei vent’anni dalla morte di Marco Pantani, abbiamo intervistato in esclusiva Marco Velo: un tuffo nel passato, con un occhio al presente.
Che ricordo ha di Marco Pantani?
Un ricordo indelebile. Ho sempre nella memoria il Pantani a braccia alzate, vincente, quello che attirava le folle, quello che bloccava l’Italia intera perchè tutti rimanevano incollati alla tv a seguire le sue imprese. Se il ciclismo ha avuto così tanta popolarità in Italia lo si deve anche a un personaggio come lui.
E che ricordo ha di quel 1998, dove lei prese parte solo al Giro d’Italia?
Durante l’inverno avevamo programmato già che non sarei andato al Tour de France, in quanto il mio obiettivo era quello di fare bene anche ai campionati del mondo a cronometro, quindi conciliare tutto era impossibile. Inoltre, ero il più giovane della squadra, quindi era giusto dosare le energie. Devo dire che con il senno di poi, quel Tour de France lo avrei corso molto volentieri. Nel corso dei primi mesi del 1998 c’era davvero tanta pressione su Marco, si sapeva che stava bene e che avrebbe potuto raggiungere un’ottima condizione di forma: era reduce dal podio al Tour de France 1997 dove aveva anche vinto due tappe, tra le quali quella dell’Alpe d’Huez, quindi si sentiva nell’aria che c’era la possibilità di fare qualcosa di molto importante. C’erano però avversari molto importanti, quindi il nostro obiettivo era quello di prepararci al meglio per la stagione.
Nel corso del Giro d’Italia 1998, qual è stata la tappa più significativa?
Senza dubbio quella di Plan di Montecampione. Per me che sono bresciano è stato bellissimo vedere Marco Pantani a braccia alzate su quel traguardo, e che vittoria: staccare Pavel Tonkov in salita con una serie di attacchi uno dopo l’altro, fino a che non lo ha sfiancato. E poi c’è da dire che quell’anno era andato forte anche nella cronometro finale del Giro d’Italia, pur non essendo lui un cronoman: in quella circostanza è arrivato davanti a me. Era la prima volta che succedeva in una cronometro, ci abbiamo riso su, ma è anche vero che ero stato vittima di una foratura.
Quanta popolarità avevate voi ciclisti della Mercatone Uno?
La popolarità di Marco era enorme e di conseguenza ce l’avevano anche noi. Far parte della Mercatone Uno, per un ciclista, è come per un calciatore far parte di una formazione come il Real Madrid. Pantani rappresentava il ciclismo, avere la possibilità di essere uno dei suoi gregari fidati era un onore, anche perchè non ci faceva mancare nulla. I suoi uomini più fidati dovevo tutti avere delle sicurezze contrattuali e lui si batteva per farcele avere: voleva che tutti noi avessimo la mente sgombra per pensare solo a dare il massimo in allenamento e in gara.
Nel 1999 lei e tutto il resto della Mercatone Uno vi siete ritirati dal Giro d’Italia dopo i fatti di Madonna di Campiglio: che ricordo ha di quel giorno?
E’ stato un Giro d’Italia che Marco stava dominando e che anche oggi, a distanza di tanti anni, lo sento come il suo. Il ricordo è terribile, l’ho vissuta come tutti quelli che erano lì quel giorno, con tanto sgomento e incredulità. Da lì in avanti, Pantani si è ritrovato una pressione e una delusione difficili da gestire. A me piace ricordare Pantani a braccia alzate il giorno precedente la sua sospensione, quando si è aggiudicato l’arrivo in salita a Madonna di Campiglio. Oppure in azione nella tappa di Oropa.
Quella fu una rimonta pazzesca: un capolavoro di squadra?
Sì, senza dubbio. Non c’era stato nemmeno il tempo di comunicare in radio della foratura di Marco: io ero stato avvisato da un corridore della Saeco che mi aveva detto che Pantani si era fermato per un problema. Ci siamo tutti fermati, lo abbiamo aspettato, lo abbiamo fatto rientrare in gruppo e lui ha superato tutti vincendo la corsa. Penso che per il ciclismo sia uno dei video più visti e rivisti della storia.
Nel 2000 lei ha preso parte al Giro e al Tour de France, dove Pantani è riuscito a battere in due occasioni Lance Armstrong, sul Mont Ventoux e a Courchevel. Avevate pensato che potesse tornare il pantani di un tempo?
Marco nel 2000 non era più quello di prima, era diventato molto insicuro, dubbioso, non era più il Marco con la cattiveria negli occhi. Noi notavamo questa cosa, ci rendevamo conto che le cose non erano più le stesse. Grande motivazione gli è stata data dalla rivalità con Lance Armstrong: Pantani non ha mai digerito il fatto che uno come lui lo potesse battere, però affrontare un corridore che andava così forte probabilmente gli ha fatto anche venire dei dubbi sulla possibilità di tornare competitivo in quella maniera.
Quando ha visto per l’ultima volta Pantani prima della sua morte?
Al Giro d’Italia 2003. Ero passato alla Fassa Bortolo, dove avevo iniziato a correre al fianco di Alessandro Petacchi, ma prima della crono finale di Milano ho passato mezz’ora sul bus della Mercatone. Io e Marco dovevamo sentirci successivamente, ma cambiava spesso numero di telefono, quindi non sono più riuscito a sentirlo.
Tornando al presente, quest’anno Tadej Pogacar tenterà la doppietta Giro-Tour a distanza di vent’anni dalla morte di Pantani. Ce la può fare?
In primo luogo spero che in futuro possa esserci in Italia un corridore come Pantani, che a braccia alzate vince dopo aver regalato spettacolo. Vincenzo Nibali ha vinto più di Pantani, ma Marco godeva di una popolarità incredibile, lo riconoscevano anche se indossava il passamontagna. La doppietta di Pogacar può essere fattibile ma secondo me con un Vingegaard così e una Visma-Lease a Bike così competitiva, non credo sia semplice. Credo che Tadej Possa vincere il Giro d’Italia, ma affrontare anche il Tour con degli avversari così agguerriti, come anche Primoz Roglic, è sicuramente molto difficile.