"Lo chiamavano Jeeg robot", diretto e prodotto da Gabriele Mainetti, è un film del 2015 che coinvolge gli spettatori per la sua trama avvincente: come finisce e qual è il significato delle ultime scene?
Una serie di eventi porterà Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) il nostro protagonista, a una trasformazione vera e propria. Dopo lo shock per la morte di Alessia e la profondità del senso di colpa, riuscirà a salvare una bambina da un incidente stradale, guadagnandosi il rispetto di chi gli sta intorno e della polizia. Il protagonista rifletterà sul suo ruolo e sulla sua capacità di fare del bene.
Si scontrerà successivamente con un criminale che intende compiere un attentato durante il derby allo stadio Olimpico.
Nonostante la fatica per disinnescare la bomba, Enzo è costretto a gettarla nel fiume. L'esplosione sembra uccidere sia lui che il criminale, ma il nostro protagonista ricomparirà sulla cima del Colosseo, intento a proteggere la città. Mentre indossa la maschera che aveva realizzato la stessa Alessia, Enzo assume definitivamente l'identità di Jeeg e si prepara ad una vita al servizio della comunità.
Il finale del film ci mostra la trasformazione completa di Enzo, che da criminale isolato e disilluso diventa un eroe impegnato a proteggere la città e a fare del bene. Il passaggio alla sua identità di Jeeg simboleggia il riscatto e la redenzione, l'impegno a usare i suoi poteri per il bene comune.
La maschera di Jeeg, fabbricata proprio da Alessia, simboleggia sia la sua eredità, che il nuovo scopo nella vita.