Giovanni Padovani uccise l'ex fidanzata 56enne Alessandra Matteuzzi per vendicarsi del fatto che lei lo avesse lasciato e non per "gelosia": è quanto scrivono i giudici della Corte d'Assise di Bologna nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 12 febbraio hanno condannato l'ex calciatore 28enne al massimo della pena, l'ergastolo.
scrivono i giudici, definendo quello commesso da Giovanni Padovani un "omicidio d'onore" più che "d'amore". I fatti risalgono al 23 agosto del 2022: dopo aver aspettato l'ex fidanzata 56enne Alessandra Matteuzzi sotto la sua abitazione di via dell'Arcoveggio, a Bologna, nonostante fosse sottoposto a un divieto di avvicinamento nei suoi confronti, il 28enne la colpì con calci, pugni, con un martello e con una panchina sotto gli occhi di diversi testimoni, fino a lasciarla a terra esanime.
"Un vero e proprio agguato", che l'ex calciatore avrebbe prima "preparato nelle sue linee essenziali" e poi messo in atto con "estrema lucidità".
scrivono ancora i giudici, che hanno riconosciuto a Padovani tutte le circostanze aggravanti che l'accusa gli aveva contestato: la premeditazione, i futili motivi, il vincolo affettivo e lo stalking. Circostanze aggravanti che la difesa aveva invece cercato di far cadere, citando, in aula, la sentenza (molto contestata e poi annullata dalla Cassazione) con cui la Corte d'Appello di Bologna nel 2019 aveva dimezzato la pena inflitta a Michele Castaldo per l'omicidio dell'ex fidanzata Olga Matei ritenendo che avesse agito in preda a una "soverchiante tempesta emotiva e passionale".
Giovanni Padovani avrebbe commesso l'omicidio dopo aver esercitato sull'ex fidanzata delle forme di controllo di "carattere ossessivo-maniacale", spinto dal "sentimento di rancore" provato nei suoi confronti dopo il loro allontanamento. Non è tutto: una volta che iniziò a colpirla, additandola come una "put**na" e rimproverandole il fatto di averlo tradito, avrebbe anche potuto fermarsi, secondo i giudici.
Scelse invece di proseguire, consapevole del fatto che per il reato da lui commesso avrebbe dovuto scontare il carcere. Lo conferma la testimonianza di un vicino di casa della donna che la sera dell'agguato scese in strada per cercare di placare la furia omicida del 28enne e che ha poi riferito di aver visto lo stesso riavvicinarsi alla vittima - già inerme - con la scusa di controllare se stesse bene per colpirla nuovamente.
Una volta arrestato e trasferito in carcere, Padovani avrebbe poi volutamente esagerato "i sintomi legati a patologie mentali", fingendo di avere dei problemi - per esempio rispondendo in maniera errata alle domande dei test che gli venivano sottoposti - solo per cercare di ottenere uno sconto di pena. Una "messa in scena", secondo i giudici, che hanno ricordato che per gli psichiatri che lo hanno visitato Padovani al momento dei fatti era totalmente capace di intendere e di volere.
Nel corso dell'ultima udienza del processo a suo carico, prima che i giudici si riunissero in camera di consiglio ed emettessero la sentenza, il 28enne aveva preso la parola e davanti ai presenti aveva ribadito di "stare male" e di dover e voler essere aiutato. "Quando perdi la capacità di vedere le cose con lucidità, puoi commettere l'irreparabile", aveva dichiarato, quasi giustificando i suoi comportamenti.
Dichiarazioni con cui, sempre secondo la Corte, avrebbe "simulato consapevolmente determinati atteggiamenti", finendo per meritare la condanna che tanto temeva - quella all'ergastolo -, accolta invece di buon grado dai familiari della vittima, che fin dall'inizio della vicenda auspicavano per lui una "pena esemplare".