Al termine di diverse ore di camera di consiglio il gup di Palermo ha condannato a 9 anni e 3 mesi di carcere Giovanni Luppino, l'imprenditore agricolo di Campobello di Mazara finito a processo con rito abbreviato per aver fatto da autista al boss mafioso Matteo Messina Denaro, arrestato a Palermo il 16 gennaio 2023 e morto a L'Aquila a causa di una malattia terminale il 25 settembre dello stesso anno.
Inizialmente era indagato per favoreggiamento; nel corso delle indagini che lo hanno riguardato è però emerso che per conto del boss mafioso chiedeva anche il pizzo. Per questo Giovanni Luppino è stato condannato, alla fine, per associazione mafiosa.
In aula, nel corso del processo a suo carico, celebrato con rito abbreviato, ha raccontato di essere entrato in contatto con Matteo Messina Denaro nel 2020, diventando il suo autista di fiducia, senza sapere che si trattasse di lui, tramite il suo compaesano Andrea Bonafede, il geometra che al boss prestò l'identità per curarsi attraverso il Servizio sanitario nazionale.
Quest'ultimo gli avrebbe chiesto di accompagnarlo a Palermo per delle cure presentandosi con il nome di Francesco Salsi; lui si sarebbe accorto che era il boss solo quando, dopo essersi sentito male nel corso di un viaggio, una volta lo stesso gli avrebbe detto: "Portami a casa, sono Matteo Messina Denaro, non posso andare in ospedale".
Da allora avrebbe accettato di aiutarlo "per ragioni umanitarie", perché sapeva che era gravemente malato e non se la sentiva di abbandonarlo. Una versione dei fatti che secondo la Procura farebbe acqua da tutte le parti.
Stando a quanto emerso nel corso delle indagini, nell'arco di due anni Luppino avrebbe accompagnato il capomafia per almeno 50 volte alla clinica La Maddalena, prendendo ogni volta tutti gli accorgimenti del caso (per esempio mettendo i telefoni in modalità aerea affinché non si agganciassero a nessuna cella) e avrebbe coinvolto nella gestione della sua latitanza anche i figli Antonio e Vicenzo, arrestati per favoreggiamento e procurata inosservanza di pena lo scorso febbraio.
Secondo la Dda, che si è occupata delle indagini, i Luppino avrebbero fornito a Messina Denaro "un aiuto prezioso", consentendogli di muoversi indisturbato sul territorio mentre era latitante: tra il 2018 e il 2022 i due fratelli avrebbero vissuto a poche centinaia di metri dall'ultimo covo del padrino di Cosa Nostra, provvedendo ai suoi bisogni e condividendo con il padre Giovanni informazioni cruciali che lo riguardavano.
Sarebbero venuti a conoscenza, ad esempio, dell'operazione a cui Messina Denaro era stato sottoposto. Operazione di cui si parlava anche nel famoso pizzino trovato dai militari a casa della sorella del boss, Rosalia, e da cui si era riusciti a risalire all'identità del suo prestanome e poi a lui.
La svolta era arrivata all'inizio di gennaio del 2023, quando, nel corso di un blitz dei carabinieri del Ros, il latitante era stato arrestato a Palermo. Con lui c'era proprio Luppino, che come sempre l'aveva accompagnato alla clinica presso cui era in cura. L'accusa, rappresentata dal pm Piero Padova, aveva chiesto al gip di condannarlo a 14 anni e 4 mesi di carcere.
Il boss che ha servito, nel frattempo, è morto: qualche mese dopo l'arresto si è spento a causa della malattia terminale che da qualche anno lo affliggeva, un tumore al colon, all'ospedale San Salvatore dell'Aquila, dove era stato portato dopo essersi aggravato dal carcere "Le Costarelle". Da poco è stato rivelato il verbale del suo ultimo interrogatorio.