Era il 5 giugno 2017 quando a Trento un bimbo di nome Mattia, che all'epoca aveva solo 4 anni, mangiò un pezzo di formaggio e pochi giorni dopo entrò in coma. Non appena si sentì male, i genitori lo portarono in ospedale, dove arrivò in condizioni critiche. La pediatra della struttura però, come racconta oggi il padre, il signor Gian Battista Maestri, si sarebbe rifiutata di visitare il piccolo paziente perché troppo stanca.
A parlare di quanto tristemente accaduto al figlio è in questa giornata, martedì 19 marzo 2024, il padre del piccolo, che oggi ha 11 anni. Gian Battista Maestri, geometra di 49 anni, ha raccontato ai microfoni del Corriere della Sera il calvario che sta vivendo da quel tragico 5 giungo 2017.
Il figlio Mattia mangiò del formaggio prodotto con latte crudo che arrivava da un caseificio di Coredo, in Val di Non. Quello che nessuno sapeva era che il prodotto era contaminato dal pericoloso batterio dell'Escherichia Coli.
Il bimbo, come scoprii poi la famiglia poco dopo, contrasse la Seu, cioè la sindrome emolitico-uremica, caratterizzata da manifestazioni patologiche a carico del sangue e dei reni che possono portare a conseguenze estreme.
Il padre si era accorto che c'era qualcosa che non andava. Così corse insieme al figlio all'ospedale di Cles prima e a quello di Santa Chiara di Trento dopo. Mattia arrivò in questa seconda struttura ospedaliera in condizioni ormai gravissime.
Secondo quanto raccontato dal padre 49enne, la pediatra dell'ospedale si sarebbe rifiutata di valutare il caso di Mattia. Il motivo? Stando alle parole del signor Maestri, la dottoressa avrebbe detto di essere stanca.
Al momento la pediatra è stata rinviata a giudizio per lesioni e per il rifiuto di atti di ufficio. La famiglia del piccolo Mattia spera in una condanna.
A dicembre scorso invece l'ex presidente del caseificio e il casaro che avevano un prodotto quel pezzo di formaggio contaminato da Escherichia Coli sono stati condannati per lesioni gravissime dal giudice di pace.
La multa nei loro confronti, come riferisce il Corriere della Sera, è stata però di appena 2.478 euro.
Oggi il papà del bimbo che si trova in stato vegetativo dal 2017 continua a cercare verità e giustizia. La famiglia di Mattia sta combattendo battaglie legali assistita dagli avvocati Paolo Chiariello e Monica Capello.
Il signor Gian Battista e la moglie Ivana sono contenti della decisione del rinvio a giudizio della dottoressa ma, al tempo stesso, sostengono che la pediatra dovrebbe cambiare lavoro e non trovarsi ancora in ospedale.
Secondo la Procura, il presunto rifiuto della donna a visitare Mattia avrebbe causato un ritardo nella diagnosi della malattia, scoperta tre giorni dopo. La colpa principale tuttavia, secondo quanto riferito dai genitori al Corriere della Sera, rimarrebbe comunque quella del caseificio.
Il padre di Mattia ha raccontato che quando si trovavano nel pronto soccorso psichiatrico, una dottoressa che aveva visitato il paziente aveva chiesto un consulto pediatrico. La pediatra però a sua volta, avrebbe detto:
A riferirlo è stato il papà del bimbo, il quale ha aggiunto di aver sentito con le proprie orecchie le parole del medico.
A quel punto, una chirurga ha portato il bimbo nel suo reparto, dove è stato operato di appendicite. Poco dopo è entrato in coma. Ancora oggi si trova in stato vegetativo.
Ad accudirlo e gestirlo notte e giorno c’è la mamma. Come riferito dal signor Maestri al Corriere della Sera, Mattia necessita di 47 farmaci, da prendere uno ogni ora e mezza. Il padre di Mattia ha raccontato che la moglie ha dovuto lasciare il lavoro per dedicarsi completamente al bambino, che ora ha 11 anni.
La famiglia Maestri sta continuando a condurre la propria battaglia. Il padre ha riferito:
Il riferimento dell'uomo in questo caso è stato il fatto che al caseificio di Coredo sarebbe stato conferito il marchio di qualità per un prodotto. Il padre di Mattia ha chiesto inoltre che anche nel nostro Paese vengano vietati prodotti con latte crudo per i bambini come avviene già in Francia.