28 Mar, 2024 - 12:15

Omicidio dell'imprenditore Bonomelli, parla l'imputato Matteo Gherardi: "L'ho rapinato, ma non sono un assassino"

Omicidio dell'imprenditore Bonomelli, parla l'imputato Matteo Gherardi: "L'ho rapinato, ma non sono un assassino"

"Non sono un assassino. Mi ritengo colpevole di rapina, ma non di omicidio". Con queste parole Matteo Gherardi ha proclamato la sua innocenza nel corso dell'ultima udienza del processo in cui insieme al padre Luigi Rodolfo, alla fidanzata Jasmine Gervasoni e all'amico Omar Poretti (di 59, 25 e 26 anni) è imputato dell'omicidio dell'imprenditore di 80 anni Angelo Bonomelli, che la mattina dell'8 novembre del 2022 fu trovato morto nel suo suv in un parcheggio di Entratico, in provincia di Bergamo, senza orologio, telefono e portafogli.

Le dichiarazioni di Matteo Gherardi, imputato dell'omicidio di Angelo Bonomelli

Rispondendo alle domande del suo difensore, l'avvocato Gianluca Quadri, il 34enne originario di Gaverina ha raccontato in aula la sua verità sul giorno precedente a quello del ritrovamento del corpo senza vita dell'imprenditore: con Angelo Bonomelli si erano dati appuntamento al bar Sintony di Entratico, in provincia di Bergamo, per parlare del sito web di Villa Ortensie, l'hotel di Sant'Omobono Terme di proprietà dell'80enne che Gherardi si era offerto di rilanciare.

Era il pomeriggio del 7 novembre. L'imprenditore era arrivato davanti al locale a bordo del suo suv, l'imputato con una Volkswagen Polo insieme alla fidanzata Jasmine Gervasoni e al padre Luigi Rodolfo che, stando alla sua versione, si erano poi allontanati per andare a prendere l'amico Omar Poretti.

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Avevo un debito di 350 euro con gli strozzini, dovevo pagare entro le 19, sono ludopatico. Ho ricevuto un sms da chi avrebbe dovuto darmi 400 euro, non li aveva versati. Non sapevo più cosa fare,

ha dichiarato Gherardi, spiegando che quando i familiari e l'amico lo avevano nuovamente raggiunto al bar aveva pensato di mettere in atto una rapina nei confronti dell'imprenditore dopo averlo stordito con il Rivotril che portava con sé per eventuali attacchi di panico.

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(Poretti, ndr) avrebbe messo le gocce nel caffè, gli ho detto che ne bastavano pochissime per stordirlo [...]. Comunque il boccetto era quasi vuoto, se anche Poretti avesse sbagliato non c'era pericolo,

ha detto in aula. A riportarlo è Il Corriere della Sera, secondo cui quello della dose "è un nodo centrale" nel processo che vede imputati Gherardi e gli altre tre di omicidio. Una volta bevuto il caffè al Rivotril, Bonomelli, infatti, si era "addormentato", al che i quattro lo avevano caricato sul suo Suv e, dopo averlo derubato, lo avevano spostato, con la vettura, nel parcheggio in cui la mattina dopo fu trovato morto, in via Mattei.

La sera della rapina e la mattina successiva: la ricostruzione della difesa

Poi Gherardi e gli altri se ne erano andati. La sera, quando erano ripassati per controllare come stesse, lo avevano trovato "come lo avevano lasciato, russava" e si erano convinti che fosse semplicemente caduto in un sonno profondo.

La mattina dopo i carabinieri erano andati a casa di Gherardi e gli avevano chiesto quando avesse visto l'80enne per l'ultima volta. Il 34enne era "andato nel panico"; prima aveva provato a telefonargli, poi, non ricevendo sue risposte, era andato a controllare se fosse ancora nel parcheggio, scoprendo che era morto.

Il punto di vista dell'accusa

La pubblica accusa non crede alla tesi della "rapina finita male" avanzata dalla difesa e contesta ai quattro l'omicidio volontario aggravato dalla rapina, dai motivi abietti o futili e dall'uso di sostanze venefiche.

Per chiarire quanto Rivotril sia stato effettivamente somministrato alla vittima è già stata fissata l'audizione, da parte della Corte d'Assise, dei consulenti del pm, il medico legale Matteo Marchesi e il biochimico Alessandro Ravelli, che si sono occupati dell'autopsia e degli esami tossicologici sulla vittima.

Il caso Amato

Il caso Bonomelli ricorderà a qualcuno quello di Giampaolo Amato, l'ex medico della Virtus Bologna finito a processo perché sospettato di aver ucciso la suocera Giulia Tateo e la moglie Isabella Linsalata somministrando loro un mix letale di farmaci. L'uomo si è sempre proclamato innocente, ma ad incastrarlo ci sarebbero diverse prove e testimonianze, come quella di un'amica di una delle vittime.

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Sara D'Aversa
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