Era il super boss del clan dei Casalesi; a quasi 26 anni dal suo arresto, Francesco Schiavone, noto con il soprannome di "Sandokan", si sarebbe adesso pentito, iniziando a collaborare con gli inquirenti. La notizia, arrivata a pochi giorni dal trentesimo anniversario dell'omicidio di don Peppe Diana da parte di alcuni membri del gruppo criminale da lui capeggiato, è stata data dal quotidiano locale Cronache di Caserta e confermata dall'Agi.
Nato a Casal di Principe, in provincia di Caserta, nel 1954, Francesco Schiavone è noto ai più per la sua carriera criminale. Fu arrestato per la prima volta quando aveva appena diciotto anni perché trovato in possesso di armi da fuoco. Lavorava, ai tempi, come autista del boss Umberto Ammaturo.
Poco dopo, insieme al cugino Carmine, divenne formalmente un affiliato del clan dei Casalesi, facendosi strada fino a diventarne il super capo. Nel 1998 fu arrestato all'interno del bunker che si era fatto costruire sotto la sua villa di Casal di Principe. Da diversi anni ormai era latitante.
Nel 1995 era stato raggiunto da un'ordinanza di custodia cautelare nell'ambito dell'inchiesta soprannominata "Spartacus", a cui fece seguito il maxi-processo al termine del quale fu condannato all'ergastolo in regime di 41 bis per gli omicidi di Luigi Diana, Nicola Diana e Luigi Cantiello.
Da 26 anni l'uomo, chiamato "Sandokan" per la sua presunta somiglianza con l'attore pakistano Kabir Bedi, che per il grande schermo ha interpretato il famoso personaggio ideato da Salgari, è recluso. Dal 2021 è stato trasferito dal carcere di Parma a quello de L'Aquila, dove è seguito dai medici per il tumore contro cui, dal 2018, sta combattendo.
Stando a quanto riporta l'agenzia Agi, dopo aver appreso della volontà di Schiavone di collaborare con la giustizia, nelle scorse ore gli inquirenti si sarebbero recati presso le abitazioni dei suoi familiari per offrire loro un programma di protezione.
La sua decisione segue di qualche anno quella dei figli Nicola e Walter, che nel 2018 e nel 2021 si sono pentiti. Entrambi - così come Ivanohe (che avrebbe accettato di entrare nel programma di protezione), Libero Emanuele e Carmine, attualmente detenuti - sono nati dal matrimonio tra Schiavone e Giuseppina Nappa, detta "lady Sandokan". Le altre due figlie, le due gemelle nate durante la latitanza del boss, si chiamano Angelica e Chiara.
Per il suo tumore Schiavone sarebbe attualmente seguito all'ospedale San Salvatore, dove è stato curato anche il super boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, arrestato a Palermo all'inizio del 2023 e morto lo scorso settembre.
Ad accomunarli, oltre alla malattia, è il ruolo che hanno ricoperto nei rispettivi gruppi criminali e la quantità di segreti di cui, nel corso della loro carriera, sono venuti a conoscenza. Messina Denaro ha deciso di non proferirne parola, rifiutandosi, fino all'ultimo, di tradire il codice mafioso.
Schiavone dopo 70 anni ha preso una strada diversa. Una strada che in molti, prima di lui, hanno percorso, ma che nel mondo di cui ha fatto parte per una vita viene ancora rinnegata con forza: i collaboratori di giustizia, i "pentiti", vengono additati come "infami" dai mafiosi.
La loro scelta è quella di rompere, almeno in parte, con il passato; di fare luce, per quanto possibile, su nomi, fatti, delitti che non sono mai stati ricostruiti e che solo qualcuno, dall'interno, può conoscere.