Giorgia Meloni sceglie Mario Draghi ed Enrico Letta come punti da cui partire per le sue considerazioni finali sul Consiglio Europeo che si è concluso a Bruxelles. Una scelta singolare perché, al di là della ipotizzabile stima, le posizioni tra i due e la presidente del Consiglio non appaiono sovrapponibili, soprattutto quando si parla di Europa.
Una Giorgia Meloni a tutto tondo, quella che incontra i giornalisti nel consueto punto stampa che caratterizza la fine dei lavori del Consiglio Europeo di Bruxelles. Tanti i temi toccati, dal futuro dell'Ue a quelli di più stretta politica interna.
Meloni non si sottrae, con la capacità retorica che la caratterizza e che la porta a iniziare la sua riflessione sull'Europa citando due persone da sempre molto lontane dalle sue idee: Enrico Letta e Mario Draghi.
La presidente del Consiglio porta, infatti, 'dalla sua parte', per così dire, i rapporti che i due hanno consegnato all'attenzione del Consiglio in questi giorni: quello di Letta sul mercato unico europeo che, come sostiene Meloni, "prende spunto anche dall’esempio italiano", e quello dell'ex presidente del Consiglio Draghi che ha chiesto "un cambiamento radicale" dell'Europa.
Proprio quest'idea è utilizzata dalla premier per tornare a spingere sul tema a lei sempre caro di un'Unione europea da rifondare. Una convinzione oggi avvalorata anche dalle parole di due europeisti convinti.
La distanza tra l'attuale presidente del Consiglio e il suo predecessore torna, non a caso, quando alla Meloni viene chiesto di commentare la possibilità che Draghi vada a ricoprire il suolo di Commissario europeo al posto di Ursula Von der Leyen.
Che il pensiero di Meloni sullo stato di salute dell'Unione europea sia radicalmente diverso rispetto a quello di Draghi o Letta, è lei stesso a chiarirlo quando ricorda che questo Consiglio segna la fine dell'attuale legislatura.
Le prossime Elezioni europee disegneranno quello che la presidente del Consiglio definisce "uno scenario diverso". Proprio quello che anche lei si augura, pur riconoscendo i tentativi fatti per "cambiare le priorità dell'Europa" in questo anno e mezzo.
Dalle faccende europee a quelle di politica interna, l'approccio della premier non cambia. La difesa dell'operato suo e dei suoi alleati di governo viene al primo posto, e le lamentele delle opposizioni vengono messe
Come sull'aborto, con l'emendamento inserito nel decreto Pnrr che apre le porte dei consultori alle associazioni pro-vita. Meloni tira dritto, parlando di un provvedimento che "ricalca esattamente il testo della legge 194".
Non entra nel merito, dunque, delle proteste delle opposizioni che, prima ancora che sul testo dell'emendamento, contestano il fatto che un simile argomento sia stato inserito all'interno di un provvedimento che dovrebbe occuparsi esclusivamente dell'attuazione del Piano di ripresa e resilienza per rilanciare il Paese dopo il Covid-19.
E fa lo stesso quando si parla delle imminenti celebrazioni per il 25 aprile e di antifascismo dove si limita a una replica piuttosto infastidita.
Infine, la chiusura sulla Rai, definita 'Tele Meloni' dagli esponenti dell'opposizione. Il tema è quello della cosiddetta 'nuova par condicio' in campagna elettorale, contestata dagli stessi giornalisti di viale Mazzini con un comunicato in cui dichiarano di non voler diventare "il megafono della maggioranza".
La risposta della premier? "Fake news".