Governo contro opposizione, la posta in gioco è l'Europa. Potrebbe essere questo il sottotitolo della prossime Elezioni europee 2024 che vedranno confrontarsi le due leader di maggioranza e opposizione, Giorgia Meloni ed Elly Schlein, insieme ad altri leader di partito. Un caso unico nell'Ue che forse dice anche qualcosa sulla cultura politica del nostro Paese.
Candidarsi come capolista per poi, se eletti, non andare a Bruxelles. Un caso e un'anomalia tutta italiana.
L'ufficializzazione arrivata da Pescara da parte di Giorgia Meloni della sua candidatura per le Elezioni europee che si celebreranno il prossimo 8 e 9 giugno conferma l'eccezionalità del nostro Paese tra i Paesi dell'Unione.
In nessun altro Stato membro, infatti, si trovano candidati capilista, con incarichi di governo o di partito, che sanno già in partenza che non si recheranno a Bruxelles o Strasburgo, se eletti. Non accade in Spagna e lo stesso vale per la Grecia, la Svezia, la Finlandia, la Danimarca o il Portogallo.
Da noi, invece, sembra essere la norma.
Perché la Meloni è tutt'altro che un caso isolato. Prima di lei, la leader dell'opposizione Elly Schlein aveva annunciato la propria candidatura per il Partito democratico e lo stesso hanno fatto il ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani per Forza Italia ed Emma Bonino, leader di +Europa e già eurodeputata in quattro legislature tra il 1979 e il 2006, che sarà capolista per gli Stati Uniti d'Europa nella circoscrizione Nord-ovest.
A loro si aggiunge, ed è notizia delle ultimissime ore, Carlo Calenda che, dopo settimane in cui ha ripetutamente negato la possibilità di una sua candidatura, smentisce se stesso e decide di "accettare la sfida" insieme con Elena Bonetti, deputata di Azione.
Nei mesi scorsi ho più volte sollecitato pubblicamente tutti i leader politici a firmare un accordo per non candidarsi alle europee. #Schlein e #Tajani hanno già scelto la strada della candidatura diretta.
— Carlo Calenda (@CarloCalenda) April 28, 2024
Ma la discesa in campo della Presidente del Consiglio e la sua… pic.twitter.com/uM71gBOYeD
Chi, invece, ancora non 'scioglie la riserva' è Matteo Renzi. Dopo aver annunciato mesi fa l'intenzione di candidarsi, sembra aver fatto marcia indietro in virtù dell'accordo di scopo con +Europa per la lista degli Stati Uniti d'Europa. Ma sembra che l'ex sindaco di Firenze stia ancora valutando il da farsi. Insomma, un po' come il Nanni Moretti di "Ecce bombo": "Mi si nota di più ecc..."
Ma perché in Italia questo comportamento appare così diffuso tra i big di partito?
La ragione riguarda due aspetti, l'uno causa dell'altro: da un lato, i tecnicismi del voto per le Europee; dall'altro, questioni di consenso interno.
Per quanto riguarda il primo punto, si deve ragionare sul fatto che le Elezioni europee prevedono un sistema proporzionale in cui ogni partito corre per sé, senza bisogno di alleanze, con una soglia di sbarramento tra il 2% e il 5%.
Chiaramente, candidare il leader del singolo partito può far convergere un numero maggiore di voti sulla lista e questo porta direttamente al secondo punto, legato al consenso dei singoli schieramenti che sfruttano la sfida elettorale per valutare concretamente i rispettivi rapporti di forza da sfruttare, poi, nella contesa nazionale.
Ragionamenti legittimi, per carità, ma che forse denunciano una certa mancanza di serietà politica che riguarda non solo la politica ma anche la società italiana, dove l'Unione europea è vista come un organo lontano, al più fastidioso, la cui incidenza sulla vita quotidiana è minima quando, invece, è tutto il contrario.