Oggi il leader della Cgil Maurizio Landini ha rilanciato il referendum abrogativo del Jobs Act. Finora, ha avuto modo di spiegare, il suo sindacato ha raccolto 200 mila firme. Ma l’obiettivo è quello di arrivare a mezzo milione entro il 24 luglio. Fatto sta che il tema della revisione della legge voluta dieci anni fa dal governo Renzi è molto divisivo. Se il leader del Movimento Cinque Stelle Giuseppe Conte subito ha aderito alla battaglia per l’abrogazione della legge 183 del 2014, il fatto che alla lotta si è unita anche la segretaria del Pd, Elly Schlein, apponendo la sua firma, rischia di provocare l’ennesimo strappo non solo nello stesso Partito Democratico, ma nell’intera coalizione. In entrambi i casi, le aree riformiste sono in subbuglio. E se lo sono in maniera alquanto velata è solo per l'imminenza delle elezioni europee.
Non solo la politica estera, con le diverse vedute che si rilevano a proposito delle crisi in Ucraina e in Medio Oriente. Ma anche il fronte interno, in particolare quello delle politiche sul lavoro, rischia di mettere a repentaglio la tenuta del centrosinistra, organizzato o no che sia nel cosiddetto campo largo. In particolare, il tema caldo è quello lanciato dalla Cgil sul referendum abrogativo del Jobs Act, la legge voluta dieci anni fa sul mercato del lavoro dallo stesso Pd (ma a trazione Renzi). Oggi, se l'ala riformista dem continua a tacere, a rispondere a distanza a Landini è stato il segretario della Cisl Luigi Sbarra:
Il leader della Cisl è quello che giudica in maniera più positiva il Jobs Act. Del resto, l'ultimo Rapporto annuale dell'Istat diramato l'altro giorno, ha evidenziato che l'occupazione, sia nel 2022 che nel 2023, è cresciuta dell'1,8% assestandosi al 61,5%, record italiano. E sono cresciuti anche i contratti a tempo indeterminato. Quindi, per Sbarra:
Sbarra posiziona il suo sindacato contro il referendum abrogativo del Jobs Act anche con queste parole d'ordine: