Ora tocca a lei. A Ursula von der Leyen, presidente della Commissione uscente e in pectore allo stesso tempo, dopo il sì del Consiglio europeo. C'è un solo passo, il meno agevole, che la separa da un bis sul quale non tanti, a Bruxelles, fino a poco tempo fa avrebbero scommesso: il voto della Plenaria dell'Eurocamera. Da qui alla metà di luglio sarà von der Leyen a gestire la fase meno nobile dei negoziati per la sua rielezione. Una trattativa che l'ex ministra tedesca ha intenzione di intavolare sia con i gruppi sia con le singole delegazioni parlamentari. Non sarà facile, anche perché lo strappo dell'Italia al summit Ue è destinato a rafforzare la trincea anti-destre di Socialisti e Liberali. L'obiettivo, per Ursula, resta lo stesso: blindare la sua conferma e disinnescare i franchi tiratori senza snaturare il mandato che si appresta ad iniziare. Con il gruppo S&D e quello Renew von der Leyen, nei giorni scorsi, ha già parlato. Entrambi le hanno spiegato che la linea rossa è l'alleanza con Ecr: in quel caso il loro voto favorevole verrà a mancare. I due gruppi si muovono partendo da posizioni diverse: il socialista Antonio Costa, comunque vadano le cose, sarà presidente del Consiglio europeo. Il destino della liberale Kaja Kalla è al momento legato, invece, a quello di von der Leyen. Né i Socialisti né i Liberali hanno intenzione di tendere una trappola a von der Leyen. Anzi, nei giorni scorsi si sarebbe mosso Olaf Scholz in prima persona, con Manfred Weber, per spiegarli di non spingere il Ppe ad alzare troppo la posta perché in tal modo avrebbe messo a rischio la sua Spitzenkandidat. Il trend non è cambiato. Una netta apertura a Ecr troverebbe il cancelliere tedesco altrettanto nettamente contrario. Una parte dei Socialisti, poi, spingerà ulteriormente per allargare il dialogo ai Verdi. Si tratta di una strada che non entusiasma Weber, e sulla quale Antonio Tajani ha più volte ribadito la sua contrarietà. Tuttavia, i due no e l'astensione messi sul tavolo da Meloni ai top jobs hanno inevitabilmente ristretto i margini di manovra di Fi, ovvero dell'unica forza nel governo italiano a stare nel Ppe. Gruppi, delegazioni, ma anche singoli eurodeputati. Von der Leyen, fedele alla tradizione teutonica, andrà dritta per la sua strada. Chiederà il voto per il suo bis, cercando di bilanciare il programma che si appresta a compilare. Parallelamente entreranno nel vivo le trattative per le deleghe nella futura Commissione. Von der Leyen non vuole un secondo mandato in continuità: chi già era commissario avrà un portafoglio, gli stessi titoli e spazi delle deleghe saranno cambiati. La corsa ai vicepresidenti esecutivi è per pochi ma è serrata: Italia, Francia, Spagna e Polonia sono in partita.
Difficile, tuttavia, che uno dei portafogli economici non vada a un falco del Nord. Lo strappo di Meloni, apparentemente, è stato già assorbito dal gotha comunitario. "Il Consiglio europeo non è un circolo di tecnici, bensì di politici, tutti con le proprie famiglie politiche e i propri orientamenti. Quindi capisco il voto della prima ministra italiana, con cui conto comunque di collaborare strettamente, così come con gli altri 26", ha sottolineato Costa. A Bruxelles, il futuro presidente del Consiglio europeo, von der Leyen e Kallas hanno avuto il loro primo incontro. Strette di mano e sorrisi, per questo "touchdown", ha scritto von der Leyen su X, dove ha assicurato "saremo una grande squadra". Di certo il nuovo terzetto sarà più affiatato dell'attuale. Von der Leyen, spiegano fonti europee, ha sempre lavorato benissimo con Costa, a cominciare dal periodo pandemico. Con Kallas la sinergia sull'Ucraina, negli ultimi due anni, ha notevolmente rinsaldato rapporti mai comunque altalenanti. Una volta incassato il sì di Strasburgo von der Leyen si metterà a testa bassa a definire programma e Commissione. Prima, tuttavia, è chiamata all'ultimo capolavoro: far convergere su di lei i voti di Verdi e meloniani senza siglare alcuna alleanza.