Cinquantadue. E' il numero che ci porta a Fedi, vent'anni, giunto dalla Tunisia a dodici, che sarebbe rimasto in carcere a Sollicciano, periferia di Firenze, fino al novembre del 2025 per una serie di piccoli reati legati alla tossicodipendenza. "Sarebbe" perché Fedi si è suicidato come prima di lui hanno fatto 51 detenuti da inizio anno. Di lui si occupa un articolo di Alessandro Barbano sul quotidiano Il Dubbio. Parte da un'affermazione: "Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. Così recita il codice penale all'articolo 40, e c'è da chiedersi se questa modalità specifica di imputazione, che si richiama a un principio di responsabilità morale, possa riguardare solo il cittadino, e non anche e soprattutto lo Stato".
Poi rivolge una domanda a tutti noi: "Non impedire una catena di suicidi in un luogo, il carcere, dove la vita dei singoli è sotto il controllo totalitario dello Stato, non equivale forse a esserne corresponsabili? Mi chiedo che cosa siano invece cinquantadue detenuti impiccati o soffocati nei primi sei mesi dell'anno, diecimila detenuti oltre la capienza massima, quattromila risarcimenti per trattamenti inumani certificati dai magistrati di sorveglianza. Con quale coraggio un governo inerte su questo tema continua a gettare la palla in tribuna, annunciando soluzioni impraticabili o numericamente irrilevanti?"
Si proverà a dare una risposta a queste domande? Forse comincerà il dibattito ma durerà lo spazio... di un suicidio. Poi tornerà il silenzio fino a quando un altro detenuto non deciderà di impiccarsi. E sarà il cinquantatreesimo da inizio anno.
Stefano Bisi