Su Netflix è disponibile "Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio", una docuserie che narra l’omicidio di Yara Gambirasio, scomparsa a 13 anni il 26 novembre 2010, e le indagini che hanno condotto all’identificazione di un sospetto.
Il creatore e regista della serie è Gianluca Neri, che ha scritto la sceneggiatura insieme a Carlo Gabardini ed Elena Grillone. Neri è noto anche per "SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano", un altro documentario di Netflix che divenne molto popolare al suo debutto nel 2020.
In questo nuovo lavoro, Neri esplora le indagini che hanno portato alla scoperta dell’assassino di Yara Gambirasio, rivelando un quadro complesso e controverso.
Le indagini e il processo, protrattisi fino al 12 ottobre 2018, hanno visto Massimo Bossetti come principale imputato, e alla fine è stato condannato all’ergastolo. Ma la domanda persiste: è davvero colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio?
"Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio" presenta una storia vera. L’omicidio è un dato di fatto, con il corpo di Yara ritrovato il 26 febbraio 2011, a tre mesi dalla sua scomparsa. Tuttavia, la docuserie solleva dubbi sull’effettiva colpevolezza di Bossetti.
Nei cinque episodi, la serie mostra come le indagini abbiano avuto diverse zone d’ombra: sono stati utilizzati kit scaduti per i test del DNA e la pista del DNA trovato sul polsino della giacca di Yara, appartenente a una delle sue insegnanti di ginnastica, non è stata approfondita. Un altro esempio è il sospetto iniziale sull’operaio marocchino Mohammed Fikri, dovuto a un errore di traduzione di alcune intercettazioni in arabo.
Un'ulteriore pista criminale, rimasta aperta, suggeriva che l’omicidio potesse essere una vendetta contro il padre di Yara, che aveva denunciato alcuni imprenditori legati al traffico di droga.
Sul corpo di Yara è stato trovato il DNA di una persona sconosciuta, denominata Ignoto 1, che è stato successivamente collegato a Massimo Bossetti, un muratore di Mapello.
E' lo stesso Bossetti a raccontare la sua storia nella serie documentaria "Il caso Yara", continuando a dichiararsi innocente.
Le indagini hanno preso una piega inaspettata: mentre cercavano una corrispondenza tra il DNA degli abitanti locali e quello dell’"Ignoto 1", gli investigatori hanno scoperto che Bossetti non era il figlio biologico di chi aveva creduto essere suo padre per oltre 40 anni.
Sia lui che la sorella gemella sono stati infatti identificati come figli dell’autista Giuseppe Guerinoni, con il quale la madre, Ester Azzuffi, avrebbe avuto una relazione segreta, sebbene abbia sempre negato di aver avuto rapporti con lui, essendo già deceduto al momento delle indagini.
Dopo il confronto del DNA, sembrava che non ci fosse più alcun dubbio sulla colpevolezza di Bossetti: il suo furgone era stato avvistato vicino alla palestra frequentata dalla ragazza, e il suo cellulare era stato rintracciato in zone che corrispondevano all'ora della scomparsa.
Il movente dell'omicidio di Yara è stato identificato come di natura sessuale.
Nonostante ciò, Bossetti continua a proclamare la sua innocenza, anche alla luce dei numerosi interrogativi sollevati dal documentario, come l'insinuazione che fosse un predatore sessuale, nonostante nel suo computer non siano state trovate prove di video riguardanti minori.
Nel dicembre 2022, la PM Letizia Ruggeri è stata indagata dal GIP di Venezia per frode processuale: l'accusa riguardava lo spostamento di 54 provette contenenti tracce biologiche miste della vittima e di Bossetti dal frigorifero dell’Ospedale San Raffaele di Milano all'ufficio Corpi di reato del tribunale di Bergamo.
Nonostante questi dubbi e controversie, la condanna di Bossetti è ormai definitiva: il 12 ottobre 2018 è stato condannato all'ergastolo.
Il 13 maggio 2024 si è tenuta un'udienza durante la quale gli avvocati hanno finalmente avuto accesso alle famose 54 provette di DNA. Questo potrebbe aprire la strada a nuove analisi e sviluppi nel caso.