Rivolte, evasioni, aggressioni o persino suicidi stanno diventando sempre più la norma nelle carceri italiane. L'ultimo rapporto di Antigone, l'associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale, infatti, pubblicato nella giornata di ieri, 23 luglio 2024, denuncia il suicidio di 58 detenuti in questi sette mesi dall'inizio dell'anno.
Un record in negativo che non fa che acuire il dramma vissuto da prigionieri e da agenti della polizia penitenziaria. Poliziotti troppo spesso in numero insufficiente a poter garantire la sicurezza della casa circondariale. Il sovraffollamento e il caldo dell'estate, poi, rendono intollerabile la vita all'interno delle celle, troppo poche rispetto al numero dei detenuti.
Un dato sconcertante, se paragonato persino all'anno più nero, il 2022, con ben 85 suicidi. A registrare uno dei tassi di sovraffollamento più altro è proprio il Lazio. Per questo motivo TAG24 ha chiesto al Garante dei Detenuti del Lazio, Stefano Anastasìa, di raccontare lo stato d'animo che si respira nelle case circondariali della regione.
Esasperati, esausti e sconfortati i detenuti che affollano carceri sempre più piene e sull'orlo di scoppiare. Impellente, ormai, la necessità di far qualcosa di concreto alle numerose denunce e segnalazioni fatte dalle associazioni che tutelano i diritti dei carcerati e anche dal Garante dei Detenuti.
L'ultimo disperato tentativo di sfuggire al senso di "soffocamento" a Roma, dove tre minori sono scappati dal carcere minorile di Casal del Marmo la scorsa domenica, 21 luglio 2024, per, poi, essere nuovamente arrestati nel giro di 24 ore. Per capire più a fondo la realtà in cui vivono i detenuti, TAG24 ha intervistato in esclusiva Stefano Anastasìa, Garante dei Detenuti di Roma e Lazio:
"Il Lazio soffre di un gravissimo problema di sovraffollamento. Più grave che nel resto del territorio nazionale. Qui in regione abbiamo un tasso di affollamento del 143%. Significa che ogni 100 posti detentivi ci sono 143 detenuti, quindi 43 in più di quanti non possano naturalmente essere inseriti. A livello nazionale questo tasso di affollamento è ancora al 129%. Ciò significa, concretamente, che abbiamo in regione circa 2mila detenuti in più di quanti non possano essere ospitati effettivamente in condizioni regolari.
Condizione che poi pesa su tutti gli istituti di pena della regione, tranne le piccole case di reclusione, che hanno invece situazioni più accettabili. Casi più gravi sono, ad esempio, il carcere di Regina Coeli, dove addirittura questo tasso di sovraffollamento arriva al 180%, a seguire abbiamo Rieti, Civitavecchia, Viterbo, che sono oltre il 160-170% di presenze. È una situazione, ovviamente, molto complicata, che rende difficilmente gestibile anche la quotidianità della vita detentiva".
Ma come si vive all'interno delle carceri? Qual è l'atmosfera che si respira nei corridoi? Cosa fanno tutto il giorno, tutti i giorni i detenuti? A raccontarlo proprio Anastasìa, che ha spiegato:
"È chiaro che se la detenzione si risolve nella chiusura in cella, in condizioni anche difficilmente tollerabili dal punto di vista fisico e psichico, non si fa rieducazione. Per fare un esempio, io sono stato recentemente a Cassino, dove in una sezione cosiddetta "ordinaria", quindi senza possibilità di di movimento, anche soltanto nel corridoio della sezione, ho trovato detenuti in stanze con 7 posti letto. Quindi 7 detenuti in una stanza, chiusi là dentro per quasi tutta la giornata. Non riescono neanche a fare le quattro ore d'aria che sono stabilite dall'ordinamento penitenziario e che dovrebbero poter fare".
Come ha sottolineato il Garante, però, è essenziale capire un punto: il carcere italiano deve, o quantomeno dovrebbe, essere rieducativo e non punitivo. Quindi, ai carcerati bisogna dare una possibilità, un'alternativa alla delinquenza, in modo tale che, una volta scontata la pena, queste persone possa reinserirsi nella società:
"È chiaro che, così, si coltiva il risentimento delle persone condannate nei confronti dell'Istituzione, della società. E questo, in prospettiva, diventa un danno per la collettività. La cosa che dobbiamo imparare, che bisogna capire, è che quando si parla di rieducazione, di offerta, di opportunità alle persone detenute, non lo si fa solo ed esclusivamente nell'interesse delle persone, lo si fa degli interessi noi tutti. Perché se questo passaggio in carcere, alle persone che vi sono costrette, dà delle opportunità, poi ne avremo un ritorno, un beneficio all'intera collettività. Quindi, anche per coloro che stanno fuori e che oggi si sentono così impauriti e intimoriti dalla presenza dei detenuti in carcere".
Il nostro ordinamento penitenziario, infatti, ha previsto che una volta che il detenuto ha scontato la propria pena e, quindi, pagato per il reato commesso, possa essere reinserito nel tessuto sociale. Per farlo, però, è necessario offrire a queste persone la possibilità di imparare un mestiere spendibile anche fuori dalle mura della casa circondariale e ridurre, così, il tasso di recidiva.
In questo senso Anstasìa ha commentato:
"Così dovrebbe essere per come si è ipotizzato il nostro sistema penale nella Costituzione, nell'ordinamento penitenziario. Nessuna pena dovrebbe concludersi con l'uscita dal portone del carcere, con il sacco, con dentro le cose che uno accumula durante qualche anno di pena e senza sapere che fare e dove andare. Ogni pena dovrebbe essere una offerta di opportunità, di conoscenza, di esperienza, di formazione e finanche, appunto, di inserimento lavorativo. È un accompagnamento verso l'esterno. Tutte le pene dovrebbero concludersi con un'alternativa alla detenzione che consenta alle persone condannate di mettersi alla prova, diciamo, in un percorso di reinserimento".
Tuttavia, molto spesso, proprio queste occasioni non sono sfruttate o avviate a causa dei limitati mezzi messi a disposizione delle carceri. Ciò accade soprattuto a causa della mancanza di organico di agenti di polizia penitenziaria che possano garantire la sicurezza degli operatori e dei detenuti stessi. Sul punto il Garante ha spiegato:
"Le attività scolastiche, ovviamente, sono fatte dagli Istituti d'istruzione, che sono sul territorio. Tutte le altre attività sono fatte in gran parte da soggetti o del terzo settore o dell'associazionismo. Nel caso delle attività lavorative da imprese profit, che decidono di svolgere delle attività di lavoro all'interno dell'Istituto. È chiaro che tutto questo dipende dalla ricchezza del territorio, dalla disponibilità dell'amministrazione penitenziaria a consentire lo svolgimento di queste attività all'interno del carcere. Dipende anche - e questo è un'altro tema importante in questa estate di particolare crisi e sofferenza del sistema penitenziario - dalla presenza di personale penitenziario che possa seguire le attività svolte.
Il fatto che molti detenuti passino la loro giornata chiusi in stanza, senza poter far nulla, qualche volta dipende dalla carenza di offerta di attività trattamentali, altre volte dipende dal fatto che la mancanza di personale di polizia impedisce lo svolgimento delle attività trattamentali. Per cui queste attività, ormai, nelle carceri della Regione Lazio si svolgono quasi dappertutto, esclusivamente, la mattina, perché il pomeriggio non ci sono abbastanza agenti di polizia in servizio per poter semplicemente sovrintendere allo svolgimento delle attività. Quindi anche se un'associazione, un ente esterno, decide di promuovere un'attività dentro l'Istituto, se anche l'Istituto questa attività lo vuol far fare e i detenuti sono interessati a farlo, però, poi mancano i poliziotti, di fatto queste attività non si svolgono".
In effetti, nell'immaginario collettivo, le carceri hanno assunto quell'aura di luogo privo di qualsiasi libertà. Al suo interno i detenuti hanno la possibilità di uscire all'aria aperta solamente sotto stretta sorveglianza.
In realtà, c'è un bel viavai di gente all'interno delle case circondariali. Come perfettamente ha illustrato il Garante, però, la scarsità di organico fra le fila della penitenziaria ha intaccato e continua a ledere anche le prospettive future dei detenuti:
"Comunque tutte le cose che succedeno in carcere richiedono quel minimo, anche discreto, di vigilanza. Ci sono persone che entrano dall'esterno. Ci sono le persone detenute che si muovono dalle stanze e vanno negli spazi comuni, incontrano altri. Insomma, sono tutte cose che vanno con discrezione, leggerezza diciamo, ma sempre monitorate".