Nel 2015 è stato condannato in via definitiva a 16 anni di carcere per l'omicidio della fidanzata Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco, in provincia di Pavia, il 13 agosto del 2007: ecco dove è detenuto oggi Alberto Stasi, cosa fa e quanti anni deve ancora scontare.
Alberto Stasi ha 41 anni. Dal dicembre del 2015 si trova in carcere a Bollate, nel Milanese, per scontare la condanna a 16 anni che i giudici gli hanno inflitto per l'assassinio della fidanzata Chiara Poggi: dovrebbe uscire nel 2030, ma per buona condotta, con lo scomputo di 45 giorni di liberazione anticipata ogni sei mesi, potrebbe tornare libero già nel 2028, chiedendo l'affidamento in prova nel 2025.
Da almeno un anno, su decisione del tribunale di sorveglianza, esce dalla struttura in cui è recluso ogni giorno, per andare a lavorare: svolge, in particolare, mansioni contabili e amministrative, con rigide prescrizioni sugli orari di uscita e di rientro in cella, sui mezzi di trasporto da utilizzare e i tragitti da compiere per spostarsi. Da sempre - come Salvatore Parolisi, che in molti gli accostano - si proclama innocente. Al di là di ogni ragionevole dubbio, però, è colpevole.
Stando a quanto ricostruito nel corso del processo a suo carico, la mattina del 13 agosto del 2007 aggredì a morte la fidanzata Chiara Poggi, di 26 anni, all'interno della villetta in cui quest'ultima viveva insieme ai genitori e al fratello, che in quel momento erano in vacanza, e tentò poi di depistare le indagini.
Fu lui a dare l'allarme: alle 13.49 di quel giorno, mettendosi in contatto con il 112, disse di essere arrivato davanti a casa Poggi e di aver notato, attraverso il portone aperto, il corpo senza vita della ragazza a terra, in una pozza di sangue. Poi raccontò di essere entrato, correndo, di essersi spaventato e di essere corso via per sporgere denuncia.
I sospetti si concentrarono subito su di lui: le sue scarpe, infatti, non presentavano tracce di sangue. Ci si chiedeva come fosse possibile che, se come aveva detto era entrato correndo, non si fosse sporcato. Né avesse sporcato il tappetino dell'auto che guidava. Interrogato, si contraddisse più volte.
Così, il 24 settembre del 2007, un mese dopo il delitto, fu arrestato. Pochi giorni più tardi, però, il gip decise per la scarcerazione. Riteneva, infatti, che avesse un alibi: da una perizia effettuata sul suo pc era emerso che tra le 9.35 e le 12.20 del 13 agosto aveva lavorato alla sua tesi di laurea in economia.
Il problema era che Chiara aveva disattivato l'antifurto della sua abitazione alle 9.12: volendo Stasi avrebbe avuto tutto il tempo di commettere l'omicidio, tornare a casa e poi riandare dalla fidanzata e dare l'allarme. Del resto, alcune sue tracce furono rinvenute sul dispenser del sapone della villetta del delitto, come se si fosse lavato.
C'era, poi, la questione della bici nera che una vicina di casa della vittima aveva raccontato di aver visto appoggiata al muro di cinta della villetta attorno alle 9.30 del giorno dell'omicidio. Perlustrando l'abitazione del giovane, ne fu trovata una molto simile, che però montava i pedali di un'altra bici, quella bordeaux che Stasi usava abitualmente e che gli inquirenti gli avevano sequestrato. Si pensò che li avesse scambiati.
Finì a processo, venendo assolto sia in primo che in secondo grado "per non aver commesso il fatto". Poi la Cassazione dispose un nuovo processo d'Appello, chiedendo che venisse analizzato un capello castano chiaro rinvenuto sul corpo della ragazza insieme ad alcune tracce di Dna (repertate e mai esaminate). Al termine, Stasi fu condannato a 24 anni.
Avendo chiesto il rito abbreviato, gliene vennero riconosciuti 16. I giudici parlarono di un movente "di rabbia" e accettarono la tesi (accessoria) secondo la quale, prima di dare l'allarme, non era entrato nella villetta, perché effettivamente già a conoscenza del delitto, avendolo commesso.