A due mesi dalla morte di Satnam Singh, un altro bracciante ha perso la vita lavorando a Latina: si chiamava Dalvir Singh e aveva 54 anni. Venerdì pomeriggio è stato trovato morto in un campo di Borgo di Piave: l'ipotesi è che abbia accusato un malore per il caldo e la fatica. A differenza del suo connazionale aveva un contratto.
A dare l'allarme, il suo datore di lavoro, che l'avrebbe trovato, già privo di sensi, sul terreno: all'arrivo dei soccorsi, per Dalvir Singh, di 54, non c'era più niente da fare. L'ipotesi è che sia stato stroncato da un malore causato dal caldo o dalla fatica dopo essersi recato nei campi per attivare l'impianto di irrigazione.
Lavorava, con contratto e regolare permesso di soggiorno, per una società specializzata in silvicoltura; ora i carabinieri e il servizio di prevenzione e sicurezza della Asl di Latina dovranno accertare se fosse stato sottoposto a tutti i controlli sanitari obbligatori per legge.
Era di nazionalità indiana e di etnia sikh; portava lo stesso cognome del bracciante agricolo che appena due mesi fa ha perso la vita, sempre a Latina, per non essere stato soccorso dopo un incidente sul campo.
Il suo connazionale si chiamava Satnam Singh ed aveva 31 anni; come lui, lavorava per un'azienda della provincia di Latina, ma senza permesso di soggiorno. Il 17 giugno stava preparando le serre per la coltivazione dei meloni quando all'improvviso, secondo le ricostruzioni, era rimasto incastrato nel macchinario usato per avvolgere la plastica, riportando gravi lesioni alle gambe e la mutilazione di un braccio.
Il suo datore di lavoro, resosi conto dell'accaduto, anziché accompagnarlo in ospedale lo caricò su un furgone della ditta, abbandonandolo, ferito, davanti al cancello della sua abitazione, lasciando il braccio che aveva perso in una cassetta della frutta al suo fianco. A dare l'allarme, i familiari: Singh era stato soccorso e portato d'urgenza al San Camillo di Roma. Due giorni dopo, a causa dell'elevata quantità di sangue perso, era morto.
La moglie e altri testimoni hanno raccontato di come, il suo responsabile, scappò, preoccupandosi solo di proteggere la sua ditta. Stando alle loro parole, avrebbe tolto loro i telefoni; poi avrebbe ripulito il camioncino per eliminare ogni traccia di sangue del bracciante, con la speranza di farla franca. Il 2 luglio scorso è stato arrestato con l'accusa di omicidio volontario con dolo eventuale: dall'autopsia effettutata sul corpo del bracciante è emerso, infatti, che, se fosse stato aiutato per tempo, si sarebbe salvato.
Il suo nome è Antonello Lovato. Il padre Renzo, titolare dell'azienda, prima dell'incidente risultava a sua volta indagato per caporalato: secondo gli inquirenti, insieme ad altri due responsabili della ditta, avrebbe approfittato dello "stato di bisogno" di almeno sei persone a cui aveva dato lavoro, non retribuendole in maniera adeguata e perdipiù violando la normativa sull’orario di lavoro, sulla sicurezza e sull’igiene dei luoghi di lavoro. A riportarlo è l'Ansa.
Una vicenda che ha riacceso il dibattito sullo sfruttamento lavorativo e sulla necessità di introdurre, all'interno dell'ordinamento italiano, il reato di omicidio sul lavoro. Se ne parla spesso, dopo tragedie simili; l'ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte di recente ha ammesso che adesso è una questione "non più rinviabile".