Tra gli elementi che hanno portato all'arresto di Moussa Sangare, il 31enne italiano di origini maliane accusato di aver ucciso Sharon Verzeni a Terno d'Isola, c'è anche un video che lo ritrae mentre - dopo l'omicidio - fugge in sella alla sua bici ad altissima velocità. È stato catturato da una telecamera di videosorveglianza nei pressi della rotatoria di via XXV Aprile, a Chignolo d'Isola, e diffuso nelle scorse ore dalla trasmissione Zona Bianca.
Nel filmato, che dura in tutto pochi secondi, Moussa Sangare viene ripreso mentre, all'altezza della rotatoria di Chignolo, si gira per far passare un'auto che lo illumina con i fari con l'intento di non essere riconosciuto e, senza accorgersene, mostra il suo volto all'obiettivo. È notte e sembra essere particolarmente di fretta.
Secondo gli inquirenti, aveva già compiuto il delitto, fuggendo da via Castegnate a Terno d'Isola evitando le vie più trafficate e i tratti videosorvegliati (salvo poi compiere un errore). Nello zaino che portava sulle spalle aveva nascosto l'arma, il coltello che nei giorni seguenti avrebbe seppellito lungo l'argine del fiume Adda.
Comportamenti che fanno pensare che fosse "lucido", "mentalmente integro", come ha scritto la gip Raffaella Mascarino nell'ordinanza con cui ne ha disposto la custodia cautelare in carcere.
Secondo le ricostruzioni, quella sera Sangare uscì dall'abitazione in cui viveva a Suisio con il chiaro intento di far del male a qualcuno (un feeling, come l'ha definito lui). Con sé portò ben quattro coltelli. Puntò prima due ragazzini sui 15 anni, poi un uomo in auto al computer e una persona che stava fumando una sigaretta, scagliandosi, alla fine, contro "il bersaglio più vulnerabile".
Sharon Verzeni, 33 anni, era uscita per una passeggiata serale all'insaputa del compagno Sergio Ruocco, che stava dormendo. Sangare la vide e la seguì; poi, come se niente fosse, la accoltellò, lasciandola in fin di vita in strada. Agli inquirenti ha raccontato che iniziò subito a pedalare a gran velocità per le campagne tra Terno e Suisio.
Non voleva essere ripreso o notato. Impiegò circa 20 minuti a rientrare a casa, perché a un certo punto, rendendosi conto di aver perso il berretto che portava, tornò anche indietro. Si tagliò i capelli, manomise la bici per fare in modo che non fosse collegata a lui e gettò nel fiume tutto ciò che aveva nello zaino, escluso il coltello usato per uccidere, che voleva tenere "come ricordo".
Ad incastrarlo, oltre al filmato, anche la testimonianza di due italiani di origini marocchine che lo videro prima dell'omicidio e notarono che aveva un'aria strana, parlandone con i carabinieri.
Nelle ultime ore è emerso che prima di confessare Sangare avrebbe provato ad incolpare un'altra persona del delitto: avrebbe ammesso, in pratica, di "essere stato presente sul luogo del fatto, indicando, tuttavia, come autore dell'omicidio, un altro fantomatico soggetto, di cui forniva una descrizione sommaria e incoerente".
Quando ha ammesso le proprie responsabilità, ha dichiarato di non sapere perché ha agito. Il suo avvocato, Giacomo Maj, ha ipotizzato che possa soffrire di qualche "problematica psichiatrica". Se sia vero oppure no dovranno accertarlo le indagini; sicuramente però il 31enne era un soggetto pericoloso: i familiari lo avevano denunciato per ben tre volte; l'ultima, per maltrattamenti, lo scorso maggio, quando, proprio con un coltello, aveva minacciato la sorella.
Se qualcuno lo avesse fermato, Sharon oggi sarebbe ancora viva.