Un episodio di cronaca, non una vicenda politica. È questo il presupposto fondamentale della requisitoria dei pubblici ministeri (pm) nel processo che riprende oggi, 14 settembre 2024, a Palermo contro Matteo Salvini sul caso Open Arms.
Per i pm, la decisione dell'allora ministro dell'Interno di impedire per 19 giorni lo sbarco di 147 migranti che nell'agosto 2019 si trovavano sulla nave della ong Open Arms non ha nulla a che vedere con un indirizzo politico orientato alla tutela della sicurezza dello Stato o alla lotta all'immigrazione clandestina. Per l'accusa, l'unica legislazione valida in questo caso riguarda le leggi che regolano il soccorso in mare delle persone in difficoltà e che Salvini avrebbe violato.
Riprende oggi il processo per cui Matteo Salvini rischia fino a 15 anni di carcere. Una vicenda giudiziaria che si è trasformata immediatamente in un caso politico, come sottolineato recentemente anche da Andrea Crippa, vicesegretario della Lega. La contesa, quindi, è diventata tra chi si impegna a difendere i confini nazionali da una presunta 'invasione' di stranieri e clandestini e chi, invece, facilita il loro ingresso nel nostro Paese, con le ricadute criminali che questo comporta.
Smontare questa narrazione è stato il compito che si sono dati i pm assegnati al caso, la procuratrice aggiunta Marzia Sabella e i sostituti Giorgia Righi e Calogero Ferrara. Lo mette subito in chiaro Sabella, nell'intervento che apre l'udienza, spiegando che il loro intervento si impegnerà a ricostruire il "quadro giuridico interno e internazionale del soccorso in mare" in modo da escludere quelli che la procuratrice definisce "equivoci di fondo". Il primo e più importante di questi riguarda proprio la questione politica, con Sabella che lo dice chiaramente:
Su questo punto, rincara la dose Ferrara che, citando le convenzioni internazionali, chiarisce che "anche i criminali o i terroristi, presunti o reali, non possono essere lasciati in mare" e che anche loro "devono essere salvati".
Una frase forte che il pm argomenta negando che, nel caso specifico, vi fossero i presupposti per impedire lo sbarco sulla base del cosiddetto 'passaggio non inoffensivo' commesso dall'imbarcazione arrecando, così, possibili rischi alla sicurezza dello Stato. Ferrara sottolinea, infatti, che nessuno dei testi presentati durante il processo hanno confermato rischi simili connessi alla nave Open Arms che, al contrario, trasportava esclusivamente "uomini, donne e minori, che soffrono a cui sono stati negati i loro diritti fondamentali".
Ferrara conclude il suo attacco alla condotta dell'attuale vicepremier rimarcando come l'assegnazione del 'Pos' (cio è il 'place of safety', il porto sicuro d'attracco) "è un atto amministrativo, e non politico". Un ulteriore chiarimento, dunque, per ribadire come nessun indirizzo o decisione politica possa giustificare le azioni condotte in quei giorni del 2019.
Una lettura che, però, non solo non convince Salvini, oggi assente all'udienza, e la sua difesa ma nemmeno gli alleati di governo. Antonio Tajani, ministro degli Esteri e anch'egli vicepremier, sostiene infatti che il collega di maggioranza abbia "fatto il suo dovere di ministro".
Il segretario di Forza Italia dichiara la propria fiducia nella decisione che prenderà del giudice ma poi ribadisce come compito di un ministro sia "difendere la legalità" e di ritenere che "Salvini l’abbia fatto".