24 Oct, 2024 - 20:07

Pensione di vecchiaia a 67 anni per tutti gli statali: con la manovra 2025 c’è l’addio definitivo al pensionamento a 65 anni

Pensione di vecchiaia a 67 anni per tutti gli statali: con la manovra 2025 c’è l’addio definitivo al pensionamento a 65 anni

La manovra 2025 sembra voler non dare pena al tema pensione, con l’innalzamento di quella di vecchiaia a 67 anni per tutti i lavoratori pubblici.

Per chi non lo sapesse, infatti, è ancora in vigore, anche se per pochi, il limite ordinamentale a 65 anni. Torna, inoltre, la possibilità di trattenere a lavoro i lavoratori dipendenti fino a 70 anni, attraverso l’erogazione di premi volti a incentivare i dipendenti a non accedere alle pensioni anticipate.
Inoltre, sarà prorogato anche il bonus Maroni ed esteso ai lavoratori dipendenti del settore privato.

Abbiamo anticipato fin troppo: andiamo a vedere subito le misure una per una, ma cominciamo dalla notizia più eclatante, ovvero l’addio definitivo al pensionamento a 65 anni.

Stop definitivo alla pensione di vecchiaia a 65 anni

Brutte notizie sul fronte pensioni: dal 2025, tutti i lavoratori statali dovranno aspettare necessariamente i 67 anni per accedere alla pensione di vecchiaia.

A oggi, funziona un po’ diversamente, considerando i limiti ordinamenti diversi anche in vigore. Molto spesso, infatti, l’età per la pensione di vecchiaia è ancora fissata a 65 anni.

Con le nuove regole, tutto ciò dall’anno prossimo non ci sarà più: la misura va, infatti, a equiparare tutti i limiti ordinamentali al requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia. Così facendo si alza il requisito dell’età pensionabile per tutte le Pubbliche Amministrazioni.

Dal 1° gennaio 2025, in tema di pensione di vecchiaia, non ci saranno differenze tra i dipendenti pubblici e privati.

Al lavoro fino a 70 anni, con questi incentivi

Sono previsti anche incentivi per convincere i lavoratori a restare al lavoro più a lungo: verrà meno il divieto di accettare la richiesta di trattenimento in servizio.

Sempre per ricordare come funziona oggi, è in vigore la norma secondo cui al raggiungimento del limite ordinamentale i lavoratori si ritirino obbligatoriamente.

Questa norma verrà meno, con un decisivo cambio di rotta: dall’anno prossimo, i lavoratori pubblici possono sempre chiedere di restare al lavoro più anni. Per questo, inoltre, si stanno pensando a incentivi.

Nel caso specifico dei dipendenti statali, i datori di lavoro potranno concedere il trattenimento in servizio fino a 70 anni. Ci sono, comunque, limiti da rispettare, pari al 10% delle nuove assunzioni.

Restare in servizio più a lungo non sarà un obbligo. La decisione è totalmente dei lavoratori. Solo su base volontaria decideranno se restare al lavoro più anni. Infatti, le Pubbliche Amministrazioni non potranno in nessun caso obbligare i lavoratori a rimanere in servizio dopo aver maturato il diritto ad andare in pensione.

Bonus Maroni esteso ai dipendenti privati

La manovra 2025 estende il bonus Maroni anche ai lavoratori del settore privato, sempre con il fine ultimo di incentivarli a non accedere al pensionamento anticipato e a rimanere più tempo in servizio.

Ricordiamo, che il bonus spetta ai lavoratori che rinunciano a Quota 103. Il bonus Maroni è una misura che premette ai lavoratori di non versare la propria quota contributi previdenziali: questi verranno riconosciuti direttamente in busta paga.

Allo stato attuale delle cose, si tratta di una possibilità prevista esclusivamente per chi matura i requisiti per Quota 103. Dal 2025, invece, la possibilità sarà ulteriormente estesa ai lavoratori che raggiungono il diritto alla pensione anticipata, ma con i requisiti ordinari.

Per riassumere, potranno optare per il bonus Maroni i lavoratori che raggiungono:

  • 62 anni e 41 anni di contributi;
  • 62 anni e 42 anni e 10 mesi di contributi (per gli uomini) o 4 anni e 10 mesi di contributi (per le donne).

I lavoratori che maturano tali requisiti potranno presentare la domanda di accesso al bonus e chiedere al datore di lavoro di non versare la loro quota di contributi previdenziali.

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Sara Bellanza
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