E’ diventata un caso politico la decisione del Tribunale di Bologna di chiedere alla Corte di Giustizia Europea delucidazioni sul caso di un cittadino del Bangladesh a cui è stata recentemente negata la protezione internazionale in ottemperanza a quanto disposto dal 'Decreto paesi sicuri' approvato la scorsa settimana dal Consiglio dei Ministri.
Nel decreto vengono individuati i diciannove paesi verso cui – secondo il Governo italiano – è possibile rimpatriare i migranti richiedenti asilo e tra questi figura anche il Bangladesh che, a oggi, è il paese di provenienza della maggior parte dei migranti che arrivano in Italia.
La decisione dei giudici emiliani di chiedere alla Corte UE chiarimenti su alcuni punti controversi del decreto legge italiano ha riacceso lo scontro tra Governo e magistratura e con esso il botta e risposta tra maggioranza e opposizione, tra centrodestra e giudici.
Il pronunciamento dei giudici del Tribunale di Bologna, infatti, è solo l’ultimo capitolo di una vicenda ben più ampia e complessa che si innesta con la delicata fase di riforma della giustizia italiana portata avanti dalla maggioranza di centrodestra e avversata da un’ampia parte della magistratura italiana.
Vediamo allora cosa è accaduto e perché la decisione di chiedere chiarimenti ai giudici del tribunale UE sta suscitando tante polemiche.
In queste ore si sta consumando l’ennesimo scontro tra Governo e giudici sul tema della gestione delle richieste di asilo da parte di migranti.
Uno scontro originato dalla recente decisione del Tribunale di Bologna di richiedere alla Corte di Giustizia UE chiarimenti su quanto disposto dal ‘Decreto paesi sicuri’ in relazione al caso di un cittadino del Bangladesh a cui era stata negata la richiesta di protezione internazionale in quanto proveniente da un paese considerato sicuro.
I giudici di Bologna con il loro rinvio hanno chiesto ai colleghi europei di chiarire quali siano i criteri per definire un paese come "sicuro" e soprattutto se in caso di difformità tra la legge nazionale e la normativa comunitaria debba prevalere il primato del diritto europeo.
In sintesi si chiede all’Europa di chiarire se i criteri utilizzati dal Governo per stabilire se un paese sia sicuro o meno siano corretti e soprattutto se, in caso di conflitto, la legge europea prevalga sul contestato decreto italiano.
Nello specifico la legge italiana potrebbe essere in conflitto con la sentenza della Corte UE del 4 ottobre scorso che stabilisce che non è possibile considerare sicuro un paese in cui anche solo alcune categorie di persone sono perseguitate, come ad esempio gli oppositori politici o gli omosessuali. Per essere sicuro un paese deve essere sicuro per tutti i suoi cittadini.
La decisione del Tribunale di Bologna ha riacceso lo scontro politico, momentaneamente sopito solo dalla concomitanza con le Elezioni regionali liguri.
Il leader della Lega, Matteo Salvini, ha tuonato contro i giudici e bollando la loro decisione come ‘anti-italiana’.
Dichiara il vicepremier Salvini sui suoi canali social.
Attacca, invece, la maggioranza il segretario di +Europa, Riccardo Magi, che ha sottolineato come il Governo cerchi lo scontro contro la magistratura per nascondere il fatto di aver approvato un legge in contrasto con il diritto europeo per ragioni di propaganda.
Sono le parole del leader di +Europa ai microfoni di Tag24.it
Dichiarazioni emblematiche delle tensioni tra maggioranza e opposizione ma soprattutto tra legge nazionale e normative europee in merito a un contesto delicato come quello della gestione dell’immigrazione e la tutela dei diritti umani.
Per comprendere a pieno la questione occorre aprire una parentesi su quanto accaduto nei giorni scorsi e sullo scontro tra il Tribunale di Roma e il Governo che ha portato all’emanazione della legge sui paesi sicuri. Il decreto, infatti, è stato scritto e approvato in 48 ore dopo la decisione di un altro tribunale, quello di Roma, di ‘annullare’ i trasferimenti nei Cpr italiani in Albania, di 12 richiedenti asilo di nazionalità egiziana e bengalese.
Alla base della decisione il fatto che i migranti provenivano da due paesi considerati non sicuri in base a quanto disposto dalla sentenza della Corte di Giustizia Ue. Da qui la necessità del Governo di approvare una decreto che avesse lo status di norma primaria e che potesse 'competere’ con quella europea.