Da diverse ore tiene banco sui media una polemica tra due giornalisti: Andrea Marcenaro e Sigfrido Ranucci, autore e conduttore della trasmissione "Report" su Rai 3. A scatenare il caso è stato un trafiletto satirico pubblicato da Marcenaro sul quotidiano "Il Foglio".
Firmato "Andrea’s version", il pezzo è apparso il giorno successivo a una controversa puntata di Report dedicata a Silvio Berlusconi, contro la quale si era espressa anche Marina Berlusconi.
Nel trafiletto si ironizzava in modo pungente sul viaggio di Ranucci a Sumatra nel 2005, inviato per documentare il devastante tsunami che provocò la morte di circa 250.000 persone: "Purtroppo sembrava fatta. È riuscito a tornare".
Questo commento ha suscitato la reazione pubblica del giornalista e quella di suo figlio, con un tono critico verso l’autore del pezzo, Andrea Marcenaro.
Ranucci ha condiviso il testo sui social, definendolo un attacco personale e commentando: "Il Foglio si dispiace che io non sia morto. Tra gli attacchi ricevuti dopo la puntata su Mafia e Palestina, spunta questa perla. È lo stesso giornale che accusava il governo di non fare abbastanza per liberare Cecilia Sala. Oggi, però, si mostra dispiaciuto che io sia ancora vivo. Davanti a un simile articolo, infame e privo di vergogna, la mia risposta è un sorriso e i dovuti scongiuri. E con me li fanno anche i miei cari."
Il figlio di Ranucci ha indirizzato una lettera pubblica a Marcenaro, sottolineando le difficoltà vissute dalla sua famiglia e richiamando i rischi che suo padre ha affrontato per decenni: "Nonostante tutto, non sono ancora orfano di padre. Da sempre vivo con il timore che ogni addio possa essere l’ultimo. Abbiamo ricevuto proiettili per posta, trovato bossoli in giardino e subito minacce. Eppure, mio padre ha sempre continuato il suo lavoro con coraggio."
Ranucci junior ha poi ricordato i momenti vissuti durante lo tsunami: "Nel 2005, mio padre si recò a Sumatra per raccontare una tragedia lontano dai comfort delle redazioni. Per oltre 40 ore non abbiamo avuto notizie. Ricordo mia madre che cercava di mascherare l’angoscia davanti a noi bambini. Quei giorni mi hanno insegnato che la vita di mio padre, per il lavoro che fa, sembra sempre appesa a un filo."
La chiusura è un’accusa al giornalismo italiano: "Ebbene sì, mio padre è tornato sano e salvo. Per fortuna nostra e del paese, è ancora vivo e continua il suo lavoro. Purtroppo, a morire è stato il giornalismo italiano, assassinato da chi scrive pezzi come il tuo."