Il 23 maggio è una data che ogni tifoso del Milan conserva nel cuore con orgoglio e nostalgia. Trentacinque anni fa, nel 1990, i rossoneri alzarono al cielo di Vienna la loro quarta Coppa dei Campioni, suggellando uno dei cicli più vincenti e iconici della storia del calcio europeo. Lo scenario era lo stadio Prater (oggi Ernst Happel Stadion), teatro di una finale combattuta contro il Benfica.
Quella notte, l’Europa applaudiva ancora una volta la macchina perfetta costruita da Arrigo Sacchi, capace di imporsi con un calcio moderno, spettacolare e straordinariamente organizzato. Non era solo un trionfo sportivo, ma un’affermazione ideologica: quel Milan non vinceva solo partite, ma imponeva uno stile. Per i tifosi rossoneri, fu il coronamento di una stagione complessa e al tempo stesso entusiasmante, vissuta sempre al massimo livello in ogni competizione.
Alla guida del Milan c’era Arrigo Sacchi, un innovatore del pallone, che aveva rivoluzionato l’idea stessa di calcio. Il suo Milan non si affidava a giocate estemporanee, ma a un’organizzazione collettiva in cui ogni elemento era funzionale al tutto. In campo, nomi da sogno: la solida difesa composta da Baresi, Costacurta, Maldini e Tassotti; il dinamismo e la visione di Ancelotti e Donadoni a centrocampo; e, soprattutto, l’incredibile talento olandese rappresentato da Ruud Gullit, Marco van Basten e Frank Rijkaard.
Un trio che coniugava potenza, tecnica e intelligenza tattica come poche volte si è visto nella storia del calcio. I rossoneri avevano già vinto la Coppa dei Campioni nel 1989 e si presentavano a Vienna da detentori del titolo, con la consapevolezza di poterlo riconquistare.
Il percorso europeo era stato tutt’altro che agevole. Dopo aver superato agilmente il primo turno contro l’HJK Helsinki, il Milan aveva eliminato il Real Madrid con un 2-0 a San Siro e una sconfitta indolore per 1-0 al Bernabéu. Ai quarti, avevano avuto la meglio sul Malines solo ai tempi supplementari, mentre in semifinale fu il Bayern Monaco a mettere seriamente alla prova i campioni uscenti. Decisiva, in quel caso, fu la regola del gol in trasferta, che premiò i rossoneri dopo il 2-2 complessivo. Per la prima volta nella storia, una squadra passava il turno grazie a questa norma anche dopo i supplementari.
La finale del 23 maggio 1990 vedeva di fronte due giganti europei: il Milan di Sacchi e il Benfica di Sven-Göran Eriksson. I portoghesi arrivavano da una cavalcata imponente, avendo battuto tra gli altri Honvéd, Dnipro e Olympique Marsiglia. Ma a Vienna, i ritmi e l’intensità imposti dai rossoneri erano di tutt’altro livello. Il primo tempo fu molto tattico, con entrambe le squadre prudenti e concentrate nel non concedere spazi. Nessuna occasione clamorosa, tanta lotta a centrocampo e equilibrio assoluto.
La svolta arrivò nella ripresa. Il Milan, rientrato dagli spogliatoi con maggiore determinazione, cominciò ad alzare il ritmo. Van Basten sfiorò il vantaggio, trovando la pronta risposta del portiere lusitano Silvino Louro. Ma al 67’ fu proprio l’attaccante olandese a servire un pallone in profondità a Frank Rijkaard, che tagliò la difesa del Benfica come burro, si presentò davanti al portiere e con freddezza lo trafisse. Era l’1-0 che decideva la partita. Da quel momento in poi, il Milan gestì il vantaggio con maturità e intelligenza, impedendo ai portoghesi di rientrare in gara. Fu una vittoria di squadra, di metodo, di carattere.
Quella finale non fu solo la conquista della quarta Coppa dei Campioni nella storia del Milan, ma l’apice di un’epoca irripetibile. Il ciclo di Sacchi ha lasciato un segno indelebile nel calcio, diventando modello e fonte d’ispirazione per generazioni di tecnici.
Oggi, a 35 anni di distanza, quella notte viennese continua a vivere nei racconti, nei video sgranati, nei cori dei tifosi, nei ricordi di chi c’era e in quelli di chi avrebbe voluto esserci. Il 23 maggio 1990 è una data scolpita nella leggenda rossonera, un esempio di come il calcio, quando è giocato con intelligenza e passione, può trasformarsi in arte. E per ogni milanista, quel giorno resterà per sempre una sinfonia perfetta in bianco, rosso e nero.