27 May, 2025 - 12:16

Garlasco, cosa c'era nella chiavetta usb di Chiara Poggi e cosa c'entra con l'avvocato Massimo Lovati

Garlasco, cosa c'era nella chiavetta usb di Chiara Poggi e cosa c'entra con l'avvocato Massimo Lovati

13 agosto 2007, Garlasco. Chiara Poggi, 26 anni, viene trovata senza vita nella sua villetta di via Pascoli da quello che è, all'epoca, il fidanzato: Alberto Stasi. Otto anni più tardi, nel 2015, la Corte di Cassazione riconosce il ragazzo colpevole dell'omicidio e lo condanna a 16 anni di reclusione. Il movente, secondo la sentenza, sarebbe da rintracciarsi in una lite di coppia finita male.

Una verità giudiziaria che, a diciotto anni dai fatti, vacilla sotto il peso di nuove piste e vecchie contraddizioni. Le indagini riaperte dalla Procura di Pavia vedono attualmente indagato Andrea Sempio, amico di lunga data del fratello della vittima. Ma c'è chi ipotizza che dietro il delitto possa celarsi un contesto più oscuro, fatto di presunti "preti pedofili, ricatti e sicari". 

Garlasco, cosa c'era nella chiavetta usb di Chiara Poggi?

L'ipotesi - altamente suggestiva - di uno "scandalo di Chiesa", avanzata dall'avvocato Massimo Lovati, difensore di Sempio, troverebbe un appiglio nel contenuto di una chiavetta usb appartenuta a Chiara, nella quale - pochi mesi prima di essere uccisa - la ragazza avrebbe salvato una serie di articoli su temi tanto delicati quanto misteriosi.

A riaccendere i riflettori su questo dettaglio è stato, di recente, il Tg La7. Ma i file, in realtà, non erano del tutto inediti: già nel 2009 erano stati citati da diversi quotidiani. "L'attenzione dell'accusa è puntata su nove file", si leggeva in uno di essi.

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Cinque sull'anoressia e sul disturbo di 'estrema dipendenza reciproca', tre (tutti pdf scaricati dalla pagina online di un settimanale) sulla pedofilia e l'ultimo sui 'cold case'.

Informazioni emerse da una consulenza informatica di parte civile, che allora portarono gli inquirenti a ipotizzare che la 26enne stesse svolgendo ricerche con l'intento di denunciare qualcosa. Pista rimasta sullo sfondo, oggi riemersa con forza dopo alcune dichiarazioni di Lovati.

Le difese di Andrea Sempio e di Alberto Stasi a confronto in un servizio realizzato da Stefano Fumagalli per il Tg1 - 26 maggio 2025. 

La teoria dell'avvocato di Andrea Sempio, Massimo Lovati 

Il legale, che da sempre sostiene l'innocenza di Alberto Stasi, ha recentemente reso pubblica una teoria che ha lasciato molti di stucco. Intervistato, ha poi tentato di ridimensionarla definendola frutto di "un sogno". In sostanza, secondo lui, Chiara sarebbe stata uccisa da un sicario perché venuta a conoscenza di fatti relativi a un caso di cronaca destinato a esplodere solo qualche anno dopo (2014).

Il riferimento è allo scandalo del santuario della Madonna della Bozzola, sempre a Garlasco, e del sacerdote che allora lo reggeva, praticandovi esorcismi, don Gregorio Vitali, ricattato da due cittadini romeni, che gli estorsero una cifra di 250 mila euro promettendogli, in cambio, il silenzio su un presunto giro sessuale (secondo loro testimoniato da audio e video).

Cosa sappiamo finora sulle nuove indagini sull'omicidio

In mancanza di riscontri concreti, la pista di Lovati resta, come altre, solo una pista. Gli inquirenti sembrano non darle particolare credito e procedono, anzi, serrati per arrivare alla verità. Di recente hanno confermato, attraverso un comunicato, l'indiscrezione giornalistica dell'attribuzione di un'impronta palmare repertata sulla scena del crimine a Sempio.

Sul punto - così come su quello riguardante la traccia biologica rinvenuta sulle unghie di Chiara, attribuita sempre a Sempio - sono ancora in corso accertamenti. Dai risultati dipenderà il proseguio dell'inchiesta, aperta per "omicidio in concorso con ignoti o con Stasi" nei confronti del 37enne. Inchiesta che potrebbe quindi estendersi ad altre persone. 

Ecco cosa ne pensa l'avvocata Giada Bocellari, che insieme al collega Antonio De Rensis rappresenta Stasi, il quale ha sempre proclamato la sua innocenza, sostenendo di essere stato incastrato da un impianto accusatorio lacunoso, costruito su indizi fragili o privi di riscontri oggettivi e solidi.  

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