27 May, 2025 - 15:30

A 40 anni dalla tragedia dell'Heysel: un giorno che il calcio non dimenticherà

A 40 anni dalla tragedia dell'Heysel: un giorno che il calcio non dimenticherà

Il 29 maggio 1985 rappresenta uno dei giorni più bui nella storia del calcio mondiale. Quella che doveva essere una notte di sport e celebrazione, la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, si trasformò in un incubo: 39 morti, oltre 600 feriti, centinaia di vite sconvolte per sempre. A distanza di quarant’anni, il dolore resta vivo, come testimoniato da chi era presente quella sera a Bruxelles. Michel Platini, autore del gol decisivo, ha recentemente detto che "ricordare fa ancora male". Eppure, dimenticare è impossibile.

L’Heysel non fu solo una tragedia sportiva, ma un simbolo universale di tutto ciò che può accadere quando l’avidità, la disorganizzazione e la violenza prendono il sopravvento sullo spirito del gioco. Nessun altro disastro calcistico, pur con bilanci anche più gravi, ha avuto lo stesso potere evocativo: per l’importanza dell’evento, per il peso delle squadre coinvolte, per la brutalità delle immagini televisive e per l’impreparazione collettiva che portò alla catastrofe.

Una strage evitabile: 40 anni dalla tragedia dell'Heysel

Lo stadio Heysel, già all’epoca in condizioni fatiscenti, era del tutto inadatto a ospitare una finale di quel calibro. Gli accessi erano stretti, mal segnalati, e la divisione dei settori era improvvisata. Il famigerato “settore Z”, accanto ai tifosi più estremi del Liverpool, venne venduto da agenzie belghe a molti italiani, tra cui famiglie, donne e bambini.

Una rete metallica arrugginita e un esiguo cordone di polizia erano tutto ciò che separava queste persone dagli hooligans inglesi. Già ubriachi e violenti fin dal mattino, alcuni dei quali armati di aste e sassi recuperati da un cantiere adiacente allo stadio, i tifosi inglesi sfondarono la recinzione e si lanciarono all’assalto. Il panico fu immediato. La folla italiana, composta per lo più da spettatori pacifici, cercò di fuggire verso il campo, ma fu bloccata da un muretto troppo alto per essere scavalcato.

La pressione umana schiacciò decine di persone contro quel muro, altre caddero e furono calpestate. La calca, l’asfissia e la violenza causarono 39 vittime, 32 delle quali italiane. Una tragedia nata da una catena di errori evitabili, aggravata dalla totale assenza di controlli e prevenzione.

L’eredità dell’Heysel: il calcio cambia volto

L’eco dell’Heysel fu immediato e devastante. L’UEFA, su pressione del governo britannico e dell’opinione pubblica internazionale, bandì per cinque anni tutte le squadre inglesi dalle competizioni europee. Margaret Thatcher adottò misure drastiche contro la piaga dell’hooliganismo, introducendo leggi severe e controlli più rigidi.

Ma l’effetto fu anche culturale: il calcio europeo si rese conto che non poteva più ignorare il tema della sicurezza. Si cominciò a progettare stadi più moderni, con vie di fuga, settori numerati e telecamere di sorveglianza. La tragedia dell’Heysel diventò un punto di svolta. Non fu l’unica nella storia del calcio — si ricordino gli incidenti di Hillsborough, Lima o Accra — ma fu tra le prime a scuotere le coscienze a livello globale. Fu un trauma collettivo che segnò una generazione e contribuì a rendere lo sport più responsabile verso chi lo vive sugli spalti. L’Heysel è diventato un caso di studio, un esempio doloroso che ha salvato, indirettamente, molte vite negli anni successivi.

Ricordare per non ripetere

A quarant’anni di distanza, la memoria dell’Heysel non può essere ridotta a una semplice commemorazione annuale. È un dovere morale. Le vittime non erano ultras, non erano protagonisti della violenza: erano persone comuni, tifosi che avevano fatto un sogno, assistere a una finale europea. Ricordare significa dare senso al loro sacrificio e impedire che tragedie simili si ripetano.

Oggi il calcio è più sicuro, più vigilato, ma la violenza non è sparita: basta guardare certi episodi recenti in Europa e Sudamerica. L’Heysel ci ricorda che la passione può diventare pericolosa se non viene governata dalla civiltà. E ci insegna che il calcio, come ogni espressione collettiva, ha una responsabilità enorme verso chi lo ama. Solo onorando il ricordo di quella notte maledetta possiamo costruire uno sport migliore, dove la gioia non venga mai più sporcata dal sangue.

 

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