29 May, 2025 - 15:48

Femminicidio, l’appello delle penaliste contro il DDL Meloni: “È solo propaganda, serve prevenzione”

Femminicidio, l’appello delle penaliste contro il DDL Meloni: “È solo propaganda, serve prevenzione”

In un'Italia ferita ancora da 28 femminicidi nel 2025, l'ultimo dei quali ha spezzato la vita alla 14enne Martina Carbonaro, un gruppo di 77 giuriste - tutte docenti universitarie di diritto penale - ha firmato un appello contro il disegno di legge n. 1433, proposto dal governo Meloni nel marzo di quest'anno.

Il DDL, intitolato "Introduzione del delitto di femminicidio e altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime", porta all'interno del codice penale italiano il reato autonomo di femminicidio, punibile con l'ergastolo. L'appello delle penaliste sembra dar vita a un cortocircuito fra una norma che vorrebbe salvare le vite delle donne e un approccio femminista e attento alla coerenza delle leggi.

L'appello sarà discusso in Senato oggi 29 maggio 2025 e ha suscitato polemiche soprattutto negli ambienti di centrodestra. Ma perché un disegno di legge contro il femminicidio viene contestato proprio da chi combatte questa piaga e che vorrebbe meno populismo e più prevenzione?

Cosa significa l'iniziativa partita da Bologna?

Il documento nasce da un'iniziativa di sette penaliste, fra le quali Maria "Milli" Virgilio e Silvia Tordini Cagli, entrambe docenti dell'Università di Bologna. Al loro appello hanno risposto 70 colleghe da tutta l'Italia, dagli atenei di Trento fino a quelli di Catania. Virgilio ha spiegato la necessità di aprire un canale di dialogo con l'attuale governo e il documento sembra proprio adatto allo scopo: "Presenteremo l’appello in Senato, poi lo invieremo a Governo, Parlamento e Ministero della Giustizia. Vogliamo una riflessione più ampia".

Tordini Cagli, una delle autrici, non usa mezzi termini nello spiegare cosa manca al DDL per essere davvero efficace: "Manca del tutto la parte relativa alla prevenzione. Se non si estirpa la causa di questi fenomeni, non si va da nessuna parte. Il rischio è fare propaganda su una riforma che sembra risolutiva, ma dimentica la complessità del problema".

Il DDL del 7 marzo 2025 era stato presentato dalla premier Meloni e dal ministro della Giustizia Nordio come un avanzamento notevole nella protezione delle donne. A spiccare è la pena dell'ergastolo che subirà chiunque "per motivi di discriminazione, odio di genere o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti" uccida una donna.

Prevenzione, non punizione

Il testo non nega l'importanza di contrastare la violenza di genere, ma critica fortemente il DDL, definito "un'operazione di propaganda" che rischia solo di essere simbolica. Le penaliste sottolineano che la violenza contro le donne non si ferma con l'ergastolo, ma richiede un lavoro culturale, educativo e sociale a partire dalle scuole.

Il cuore della critica è quindi chiaro: il DDL si concentra sulla repressione, ignorando la prevenzione. Le penaliste richiamano la Convenzione di Istanbul, che invita a investire in educazione, formazione e contrasto alla cultura patriarcale. Nel documento delle giuriste si legge: "Il femminicidio è l'esito estremo di un sistema che legittima la subordinazione della donna. Serve un lavoro capillare, dalle scuole al mondo del lavoro, per smantellare stereotipi e asimmetrie di potere".

Alla critica subentra un momento di riflessione attiva e creativa. Invece di rendere il loro appello un foglio sterile soltanto pieno di buone intenzioni, le penaliste indicano anche quali potrebbero essere le buone pratiche per migliorare il DDL sul femminicidio. "Non si tratta di dare una ramanzina ai colpevoli, ma di prevenire, non soltanto di punire", afferma Virgilio.

L'ultimo caso, che ha coinvolto Colombaro e il 19enne ex fidanzato Alessio Tucci, è emblematico: quest'ultimo sarebbe stato spinto dalla frustrazione di non veder più realizzato il suo desiderio di possesso nei confronti della 14enne, non accettando la fine della relazione. Agitare lo spettro della pena forse non è utile, per le giuriste, di fronte a simili situazioni.

Come accennato, l'appello ha suscitato polemiche nel centrodestra. Il fatto che sia stato presentato su Giustizia Insieme, una rivista giuridica vicina alla magistratura di sinistra, ha fatto pensare ad alcuni che l'intento sia di criticare l'operato politico di Meloni, tramite le lenti distorte di una politicizzazione ideologica.

Il DDL contro i femminicidi non piace alle penaliste: "Solo simbolico"

Entrando nel merito delle rimostranze delle giuriste, ci sono tre punti che connotano il DDL contro i femminicidi in senso negativo. Il primo è l'utilizzo dell'ergastolo come pena fissa: da anni si dibatte sull'effettiva utilità del carcere in un percorso di più ampia riabilitazione dei detenuti e questa pena non sembra andare in tale direzione.

"È contrario al principio di rieducazione sancito dalla Costituzione. Toglie al giudice la possibilità di valutare la gravità del fatto, che nel femminicidio, come nell’omicidio, non è mai uguale. La nuova fattispecie non aumenta l’efficacia della tutela penale, ma ha una valenza solo simbolica", come è scritto nell'appello. 

I casi di Giulia Cecchettin e Sara Tramontano hanno dimostrato che anche l'omicidio aggravato può esser usato per punire le violenze contro le donne. Il secondo punto di attrito indicato dalle giuriste è che il delitto legato a "odio e discriminazione" presenta tratti troppo discrezionali e che non considerano anche altri tipi di relazioni, come quella fra donna e donna.

Virgilio nota che le donne trans rischiano di non esser considerati ai fini del femminicidio, perché un giudice potrebbe negare loro la qualità di donna biologica dalla nascita. Infine, un elemento che ha caratterizzato l'azione legislativa di questo governo: l'approccio panpenalista contro le emergenze del momento, agganciato a minacce di pene più severe come forma di deterrenza.

In Messico e Cile i femminicidi sono puniti con pene molto severe: purtroppo, i casi sono ancora tanti e la deterrenza di norme più dure sembra non far desistere chi vuole compiere atti violenti. 

In un paese, l'Italia, scosso ancora da casi vicini temporalmente come quelli di Ilaria Sula, Martina Carbonaro o Sara Campanella chiamare quel DDL una "strumentalizzazione populistica" rischia di avvelenare il dibattito e non fornire soluzioni possibili e concrete.

I tre punti salienti dell'articolo

  • Critiche al DDL sul femminicidio - 77 penaliste italiane contestano il disegno di legge n.1433 del governo Meloni, che introduce il reato autonomo di femminicidio punibile con l'ergastolo: lo definiscono simbolico e repressivo, privo di misure strutturali di prevenzione.

  • La prevenzione come urgenza culturale - Il documento sottolinea l’assenza nel DDL di un approccio educativo e culturale, come raccomandato dalla Convenzione di Istanbul. La sola repressione non cambia il contesto patriarcale che alimenta la violenza di genere.

  • Rischi costituzionali e di esclusione - Le giuriste criticano l’ergastolo obbligatorio (in contrasto con la finalità rieducativa della pena) e i rischi di discrezionalità giuridica, come l’esclusione delle donne trans o dei casi di relazioni non eterosessuali.

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