30 May, 2025 - 11:25

Juventus, il licenziamento di Giuntoli? Reo di una rivoluzione inutile

Juventus, il licenziamento di Giuntoli? Reo di una rivoluzione inutile

Mentre un popolo di circa 15 milioni di tifosi italiani attendeva con trepidazione l’annuncio di Antonio Conte come nuovo allenatore, la proprietà – incarnata da John Elkann, “il nipote preferito dell’avvocato Giovanni Agnelli” – ha spiazzato tutti: addetti ai lavori, opinione pubblica e, soprattutto, i tifosi bianconeri.

Con il varo di un nuovo organigramma dirigenziale, composto prevalentemente da uomini di campo, Elkann ha di fatto messo da parte il direttore sportivo Cristiano Giuntoli. Un dirigente chiamato poco più di due anni fa con l’obiettivo di risollevare una società in crisi di credibilità, diventata, nel frattempo, oggetto di compassione più che di rispetto, soprattutto da parte dei suoi storici detrattori.

Ancora una volta – l’ennesima negli ultimi anni – la Juventus riparte dalle fondamenta. Fondamenta che, evidentemente, non hanno retto il peso del proprio blasone.

Juventus e Giuntoli: esonero per una rivoluzione inutile

Cristiano Giuntoli, accolto a Torino come un messia e strappato al Napoli fresco campione d’Italia, se ne va da perfetto sconosciuto. Proprio nell’anno in cui “il suo” Napoli ha riconquistato lo scudetto. Una beffa atroce per il dirigente toscano che, se da un lato ambiva a riportare la Juve ai fasti del passato, dall’altro         ha finito per allontanarla ancora di più da essi.

Con le chiavi della Continassa in mano e pieni poteri gestionali, ha perso di vista l’obiettivo. Se è vero che ha alleggerito un bilancio in profondo rosso grazie a numerose cessioni, è altrettanto vero che, con quelle stesse operazioni, ha finto per compiere una rivoluzione tecnica inutile. 

Le cessioni che hanno distrutto una Juve da puntellare, non da rifondare

Le cessioni e le partenze dell’estate scorsa, in un’autentica operazione “piazza pulita” voluta da Giuntoli, hanno inevitabilmente indebolito una Juventus che non doveva essere rifondata, ma semplicemente puntellata con 3-4 rinforzi mirati.

Aveva in casa l’erede naturale di Bonucci: Dean Huijsen. Eppure, lo ha ceduto al Bournemouth per appena 15 milioni di euro, spalancando le porte al Real Madrid, che oggi lo considera uno dei difensori più promettenti del panorama europeo.

Aveva in rosa uno dei centrocampisti più talentuosi della nuova generazione italiana: Nicolò Fagioli. Lo ha mandato in prestito con obbligo di riscatto alla Fiorentina, che ora se lo gode a titolo definitivo.

Aveva Daniele Rugani, veterano silenzioso e profondo conoscitore dello spogliatoio juventino. Non sarà stato un titolare inamovibile, ma in una rosa falcidiata dagli infortuni di Bremer e Cabal, sarebbe stato preziosissimo. Al suo posto? Kelly e Veiga: onesti mestieranti, certo, ma ben lontani dagli standard richiesti da una squadra come la Juve.

Aveva Danilo, il capitano. Lo ha spinto verso l’uscita proprio nel momento in cui servivano stabilità, leadership ed esperienza. Lasciando la difesa juventina scoperta nel periodo più delicato della stagione.

Aveva Federico Chiesa. Non più il folletto imprendibile dell’Europeo, è vero, ma pur sempre uno dei pochi in grado di garantire imprevedibilità e qualità. Anche lui, però, è stato messo alla porta.

Aveva Rabiot, uno dei migliori centrocampisti d’Europa. E non ha nemmeno provato a trattenerlo con un’offerta concreta.

Giuntoli, dunque, aveva in casa non solo calciatori, ma una cultura, un’identità, un patrimonio tecnico e umano che avrebbe potuto – e dovuto – valorizzare. Invece ha preferito smantellare, riformare, innovare.

Peccato che, per farlo, abbia dimenticato la regola più importante, nel calcio come nella vita: si può costruire, sì. Ma non si può sempre ripartire da zero.

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