16 Jun, 2025 - 15:59

Fama e Social Media: un rapporto pericoloso

In collaborazione con
Margherita Maurich
Fama e Social Media: un rapporto pericoloso

Chiunque può diventare famoso. È uno dei vantaggi dei social media. Le celebrità del nostro tempo non sono più solo le distanti figure cinematografiche che vivono ad Hollywood, ma delle persone che si possono incrociare per strada ogni giorno. Ma da un grande potere deriva una grande responsabilità. Si conosce mai veramente a chi si sta dando adito?

Tre fattori legai ai social media: Etica

Prendendo la definizione filosofica da Treccani, l’etica è ogni dottrina o riflessione speculativa intorno al comportamento pratico dell’uomo, soprattutto in quanto intenda indicare quale sia il vero bene e quali i mezzi atti a conseguirlo, quali siano i doveri morali verso sé stessi e verso gli altri, e quali i criteri per giudicare sulla moralità delle azioni umane. L’uso etico dei social impone di domandarsi se si sta diffondendo un contenuto volto al bene della persona protagonista in primis, ma, anche, al bene altrui. Pubblicizzare profili che inneggiano all’odio, alla discriminazione o diffondono contenuti discutibili è un comportamento scorretto nell’utilizzo delle varie piattaforme.

Empatia

I social media offrono un’occasione per avvicinare le persone e creare un senso di comunità. Allo stesso tempo, però, il distacco tra le persone aumenta sempre di più. Ci si isola nel mondo digitale per evitare di affrontare la realtà. Interagendo raramente con gli altri, si utilizza sempre più di rado l’empatia. Essa è un’abilità sociale legata all’intelligenza emotiva, una componente fondamentale per capire le emozioni altrui ed entrare in sintonia con chi si ha di fronte. La distanza, non solo fisica ma anche emotiva, le interazioni brevi e superficiali e il bombardamento costante di contenuti negativi presenti nel mondo dei social media diminuiscono la capacità di utilizzare questa abilità.

Soldi

Prima di approfondire un caso mediatico che ha scosso l’Internet, c’è un terzo fattore da tenere in considerazione: i soldi. Le piattaforme social, ormai, sono dei mercati che generano opportunità di business. Di conseguenza, è scontato che, dove vi è una situazione che crea grande frastuono, accorrono numerosi tutti coloro che vogliono trarne un profitto. Ma quanto ci si può spingere oltre?

California, febbraio 2013

Un senzatetto chiede un passaggio ad un uomo per andare a Fresno in California. I due iniziano a parlare e il conducente dà segni di instabilità mentale, confessandogli di essere Gesù. L’auto tampona un camion investendo un operaio: l’incidente ha attirato l’attenzione e una donna accorre sulla scena per fornire soccorso. Improvvisamente, l’uomo la afferra per la gola e inizia a strangolarla. Il ragazzo sfodera un’accetta e lo colpisce: Smash, Smash, Smash. L’autista è gravemente ferito ma la donna è libera.

L’identità dell’autostoppista con l’accetta

Caleb Lawrence McGillvary è l’eroe della storia. Viene immediatamente intervistato da Jessob Reisbeck: anziché usare il suo vero nome si fa chiamare Kai e racconta l’accaduto simulando i colpi dell’accetta: Smash, Smash, SUH-MASH!. Basta questo per far diventare l’intervista virale. Le persone idolatrano questo eroe non comune, che non solo ha salvato una donna aggredita brutalmente, ma che manda anche un messaggio di positività: “Qualunque cosa tu abbia fatto meriti rispetto, anche se fai degli sbagli”.

Kai: il nuovo eroe di Internet

Lisa Samsky, produttrice di Keeping Up with the Kardashians, e Brad Mulcahy, contatto per Jimmy Kimmel Live!, sono tra i primi a cercare Kai per lanciarlo nel mondo dello spettacolo. Ma il suo comportamento instabile — eccessi alcolici, sbalzi d’umore, atteggiamenti incivili — fa presto emergere dubbi. La fama arriva in fretta, ma svanisce altrettanto rapidamente. Kai, l’eroe del web, torna a vivere da vagabondo, lontano dai riflettori.

New Jersey, maggio 2013

Joseph Galfy, avvocato 73enne, viene trovato morto in casa con il cranio fracassato. La polizia, allertata dai colleghi, scopre un biglietto del treno, un numero di telefono e un foglio con il nome "Kai". Dai filmati della stazione, si vede Galfy abbracciare Caleb McGillvary. Il 14 maggio 2013, Kai scrive su Facebook di essere stato drogato e abusato. Viene arrestato poco dopo in una stazione dei bus a Philadelphia. Le sue versioni dei fatti sono contraddittorie, ma ribadisce di essersi difeso da un'aggressione. Nel 2019 è condannato a 57 anni di carcere, con possibilità di libertà vigilata a 73 anni.

“Quando si sente sotto pressione, finisce per restarne schiacciato. E in questo caso, Caleb è rimasto schiacciato davvero”

Il cugino di Caleb McGillvary, intervistato nel documentario Netflix, rievoca i ricordi dell’infanzia difficile di Kai. Sostiene che la madre di McGillvary lo chiudeva in camera per lungo tempo, oscurando le finestre e impedendogli di uscire, tanto che lui ha tentato di dare fuoco alla casa. Kai viene descritto come molto suscettibile agli scatti d’ira e agli sbalzi d’umore: difatti, durante il processo, verrà comprovato che soffre di bipolarismo. Tuttavia, piuttosto che aiutare una persona con evidenti problemi mentali, lo si è preferito far diventare uno ‘spettacolo da baraccone’, dando priorità ai soldi e alla fama piuttosto che al capire il suo stato d’animo e avere un comportamento etico.

A cura di Margherita Maurich

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