26 Jun, 2025 - 18:55

Ragazzina violentata dal patrigno: la madre non le crede e la caccia di casa

Ragazzina violentata dal patrigno: la madre non le crede e la caccia di casa

Un racconto che scuote le coscienze arriva dal tribunale di Cremona: una giovane oggi ventiduenne ha raccontato in aula il dramma vissuto quando, appena quindicenne, sarebbe stata ripetutamente molestata e violentata dal patrigno, un 50enne tunisino, operaio e incensurato. La vicenda, che si è consumata tra il 2017 e il 2020, è stata definita dalle stesse istituzioni come un vero incubo familiare, culminato con la condanna a nove anni di carcere per violenza sessuale inflitta all’uomo, su richiesta della pubblica accusa.

Violentata dal patrigno a 15 anni

La giovane, che all’epoca dei fatti aveva solo 15 anni, ha descritto in dettaglio gli episodi di abusi: palpeggiamenti e violenze sessuali, inizialmente in casa, sul divano e sul letto, poi in auto e perfino al parco, talvolta in presenza della sorellina di soli 8 anni. “Quando mia madre era fuori casa o quando tornava in Tunisia, lui si occupava di me e di mia sorella più piccola”, ha raccontato la vittima. “Mi trattava come fossi sua moglie. La mamma non gli dava ciò di cui aveva bisogno; in una famiglia araba non si può divorziare, e quindi lui veniva da me”.

La madre è gelosa e non le crede

Ma il dramma della ragazza non si è limitato alle violenze del patrigno. La madre, gelosa del marito, non solo non l’avrebbe protetta, ma l’avrebbe cacciata di casa dopo le prime confidenze. “Mi hanno sempre tenuta lontana da mia sorella: temo che lui possa fare la stessa cosa con lei”, ha detto la giovane, evidenziando la paura che la violenza potesse estendersi anche alla sorella minore. Oltre alla madre, anche il fratello e la zia avrebbero contribuito a un clima di violenza e minaccia, rendendo la casa un ambiente insostenibile e pericoloso.

Le minacce

La situazione è peggiorata dopo la denuncia presentata dalla ragazza nel dicembre 2020. La giovane ha raccontato di essere stata minacciata dal patrigno e da altri familiari: “Mi hanno detto di dire che non è successo nulla, mia madre mi ha anche picchiato. Mi hanno legata e chiusa in camera, bruciata con una forchetta scaldata sul fuoco, e mio fratello, arrivato in Italia da clandestino, mi ha detto: ‘Se ti becco, ti ammazzo’”.

Il processo e la condanna

In aula, il patrigno ha negato ogni accusa, sostenendo di essere sempre stato un padre premuroso e di non aver mai toccato la ragazza. “Sono sempre stato un padre per mia figlia. L’ho sempre trattata bene e non l’ho mai violentata”, ha detto. “Quando mi ha denunciato era andata ad abitare con il suo ragazzo, ma io non ero in Italia. Quando poi è tornata a casa ci ha detto che aveva fatto la denuncia per avere i documenti e ci ha chiesto scusa”. Il suo avvocato, Massimo Tabaglio, ha definito il racconto della giovane “fantasioso” e ha cercato di intaccarne la credibilità, sottolineando che all’imputato non era mai stata applicata alcuna misura di sicurezza.

I giudici, tuttavia, non hanno dato credito alle difese e hanno condannato il patrigno a nove anni di reclusione. Inoltre, hanno disposto la trasmissione degli atti in Procura per verificare eventuali responsabilità penali della madre, del fratello e della zia, ipotizzando il reato di maltrattamenti e, per la madre, anche il concorso in violenza per non aver impedito gli abusi.

La vicenda solleva interrogativi profondi sulla protezione dei minori e sulla capacità delle istituzioni di intervenire in contesti familiari complessi, dove la violenza si nasconde dietro silenzi e complicità. La sentenza rappresenta un passo importante verso la giustizia, ma la ferita emotiva e psicologica della giovane resta una cicatrice destinata a durare nel tempo.

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