In questi giorni l’Italia, come il resto dell’Europa, è stretta nella morsa del caldo estremo. L’allerta per le temperature elevate ha portato molte Regioni a correre ai ripari con ordinanze per proteggere i lavoratori dal caldo, imponendo uno stop delle attività lavorative all’aperto nelle ore più calde della giornata. I governatori stanno procedendo in ordine sparso, in assenza di un provvedimento del Governo nazionale.
L’emergenza caldo coinvolge soprattutto i lavoratori impegnati in attività all’aperto, come gli operai edili, i braccianti agricoli o gli addetti alla manutenzione stradale. Ma l’allerta per le temperature estreme degli ultimi giorni coinvolge tutti: gli spostamenti per raggiungere il luogo di lavoro e le condizioni di lavoro negli uffici, sono solo alcuni degli elementi da prendere in considerazione soprattutto quando la Protezione Civile dirama l’allerta meteo per il caldo.
La legge italiana non stabilisce una temperatura massima specifica oltre la quale è necessario interrompere le attività lavorative, probabilmente perché fino a qualche anno fa questa possibilità non era contemplata tra le possibilità.
Il Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro (D.Lgs. 81/08) non indica temperature specifiche per la sospensione del lavoro, ma indica che la temperatura deve essere adeguata all'attività svolta e alle condizioni ambientali.
Il datore di lavoro è tenuto per legge a garantire un ambiente di lavoro sicuro e salubre. Quando le temperature superano i 35 gradi, aumenta il rischio di colpo di calore o svenimenti; di conseguenza il datore di lavoro è tenuto ad adottare misure per proteggere i lavoratori: fornire acqua, pause più frequenti e ventilazione.
In caso di temperature estreme, il responsabile della prevenzione e protezione può decidere di sospendere le attività lavorative.
In alcune situazioni, se il datore di lavoro non prende provvedimenti adeguati e il lavoratore ritiene che le condizioni siano pericolose, può rifiutarsi di lavorare.
Si parla di temperature estreme quando queste superano i 35 gradi. Il problema, tuttavia, non è limitato all’ambiente di lavoro, ma coinvolge anche altri fattori, come ad esempio gli spostamenti necessari per raggiungere l’ufficio, problema che verrebbe eliminato con un maggiore ricorso allo smart working.
Le ordinanze prevedono la sospensione delle attività lavorative all’aperto nelle ore più calde della giornata, tra le 12,30 e le 16,00. I settori maggiormente interessati sono quello agricolo, florovivaistico, edile, ma in generale tutte le attività che prevedano la permanenza all’aperto e l’impossibilità di ripararsi dal sole e dal caldo. Lo stop delle attività è limitato ai giorni ‘ad alto rischio’ indicati dal sistema Worklimate dell’Inail.
Al momento sono 13 le regioni italiane che hanno già adottato un provvedimento contro il caldo record. Si tratta di Abruzzo, Emilia-Romagna, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Puglia, Sardegna, Sicilia e Toscana e Lombardia. L’ordinanza scatta solo in caso di bollino rosso in presenza di condizioni di rischio alto segnalate dal sistema Worklimate.
Le regioni che non hanno adottato nessuna ordinanza anti-caldo, tra cui Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Marche e Piemonte si suggeriscono misure preventive, come ad esempio anticipare l’orario dell’inizio del turno di lavoro.
Una disparità tra regioni che si sarebbe potuta evitare con un provvedimento uguale per tutte le regioni da parte del Governo.
Anche luglio si apre all’insegna dell’allerta caldo: oggi – martedì 1° luglio - sono 17 le città da bollino rosso, e domani saranno 18. Si tratta di Ancona, Bologna, Bolzano, Brescia, Firenze, Frosinone, Genova, Latina, Milano, Palermo, Perugia, Rieti, Roma, Torino, Trieste, Verona e Viterbo.
A queste allerte massime si aggiungono quattro bollini color arancione (livello di allerta 2): Campobasso, Napoli, Venezia, Viterbo. Domani anche Campobasso passerà al bollino rosso.