Totone (Clément Faveau) è un diciottenne che vive a perdigiorno in un’anonima provincia francese, trascorrendo il tempo con i suoi due migliori amici, Jean-Yves (Mathis Bernard) e Francis (Dimitri Baudry). Orfano di madre, convive col padre e la sorella minore, Claire (Luna Garret). Come molti altri suoi coetanei del XXI secolo, non studia e non lavora; semplicemente si crogiola in una stagnazione soffocante, non sapendo cos’altro fare di se stesso, sedando la noia e l’angoscia per il futuro, passando le nottate a bere birra e le giornate a dormire.
L’improvvisa morte del papà in un incidente stradale cambierà però radicalmente la sua quotidianità di colpo. Dovrà anzitutto prendersi cura di Claire e dovrà lavorare come addetto alle pulizie in un modesto caseificio di zona. Sarà così che gli verrà una folgorante idea: portare avanti la tradizione di famiglia e mettersi a produrre formaggio, come faceva proprio suo padre, rubando il latte di nascosto a Marie-Lise (Maiwenn Barthelemy), la sorella dei proprietari della piccola azienda casearia per la quale lavora, che possiede una fattoria. L’obiettivo è partecipare al concorso regionale per il miglior Comté e di vincere il montepremi di 30.000 euro. Insieme a Jean-Yves, Francis e Claire, si lancerà, senza alcuna conoscenza in materia, in questa impresa pretenziosa, con non poche difficoltà e dovendo inoltre sedurre Marie-Lise, al fine di distrarla mentre i suoi amici le ruberanno il latte di soppiatto.
Se mi venisse chiesto cos’è che più di ogni altra cosa mi attrae del genere maschile, risponderei, senza alcuna esitazione, il modo in cui appaiono gli uomini quando hanno un bellissimo istinto di protezione e cura nei confronti delle sorelle minori o delle figlie. E forse è per questo che un film semplice, ma molto godibile, come “Tutto in un’estate” ha fatto facilmente breccia nel mio cuore da subito. La regista Louise Courvoisier, al suo primo lungometraggio, scritto insieme al collega Théo Abadie, dirige un esordiente Clément Faveau nel ruolo del protagonista Totone, un ragazzo scapestrato che viene costretto dalla vita a crescere in maniera fulminea, ponendogli davanti delle responsabilità di sicuro troppo grandi per la sua età.
Senza retorica o monologhi ricchi di boria, lontana dal melodramma forzato, Louise Courvoisier ci racconta, con un linguaggio spontaneo, la realtà spesso avvilente delle province sperdute fra le campagne, che non offrono un futuro per le nuove generazioni, ma anche la tendenza sempre più comune di andare verso l’estinzione di molti mestieri che ormai non vuole svolgere più nessuno. Dipinge inoltre un ritratto fedele dell’attuale smarrimento giovanile, fatto di ragazzi incapaci di pianificare e sognare a lungo termine, come se dessero per scontato che un domani non ci sarà. E ancora, ci mostra la scoperta e l’esplorazione del sesso, e di come a volte il caso non ci dia nemmeno la possibilità di elaborare un lutto, perché le circostanze ci impongono di rimanere in piedi per sostenere l’esistenza di un nostro caro più piccolo o più fragile. Ciò che ho maggiormente apprezzato dell’intera pellicola è il commovente rapporto fra Totone e Claire, ma anche i due amici Jean-Yves e Francis che aiutano il protagonista a prendersi cura della sorella. Questo aspetto mi è risultato come una coccola dolcissima che mi ha scaldato il cuore. Tre virgola quattro stelle su cinque.