Partono dal 1° settembre 2025, novità importanti sulle commissioni dei buoni pasto. La riforma, varata lo scorso anno, prevede l’applicazione di un nuovo tetto massimo del 5%. Non cambia nulla per i dipendenti che li ricevono, ma per chi li emette, invece, potrebbero esserci conseguenze.
In questo articolo, parliamo del nuovo tetto in vigore da settembre, quali sono gli effetti, in bene e in male.
Fino a poco tempo fa, le società emettritrici di buoni pasto potevano applicare commissioni fino al 20%, un onere che si scaricava lungo l’intera filiera: datori di lavoro, dipendenti ed esercenti.
A sollevare la questione erano state in primis le grandi catene della distribuzione organizzata, da tempo alle prese con margini sempre più compressi.
Proprio da loro è partita la richiesta di un intervento normativo, con l’obiettivo di fissare un tetto massimo alle commissioni anche nel settore privato, seguendo il modello già in vigore per la Pubblica Amministrazione.
Dopo il taglio alle commissioni sui buoni pasto entrato in vigore il 1° gennaio per le nuove emissioni, la misura si estende ora anche ai ticket già circolanti.
A partire dal 1° settembre 2025 entrerà pienamente in vigore la riforma dei buoni pasto varata dal governo Meloni nel 2024, con la Legge n. 193/2024. La misura, apparentemente tecnica, introduce un tetto massimo del 5% alle commissioni applicate dalle società emittenti.
Il limite è già operativo per i ticket distribuiti nel corso di quest’anno, ma sarà esteso anche a quelli emessi in precedenza solo con l’avvio della nuova fase. Per i dipendenti che ricevono i buoni, non cambierà nulla in termini pratici; l’intervento, però, punta a riequilibrare i rapporti economici all’interno della filiera tra aziende, fornitori e operatori commerciali.
A fare le spese della riforma saranno soprattutto le società emettritrici di buoni pasto. Si tratta di operatori che stipulano convenzioni con supermercati, ristoranti, bar e altri esercizi commerciali, rimborsando loro il valore dei ticket utilizzati dai clienti.
In cambio, trattengono una commissione, che fino a oggi poteva arrivare anche al 20% del valore facciale del buono. Ma dal 1° settembre non ci saranno più eccezioni: il tetto massimo verrà fissato per legge al 5%. Tradotto in cifre, su un buono da 10 euro l’emittente potrà incassare al massimo 50 centesimi.
L’impatto sul settore potrebbe essere rilevante. Secondo i dati dell’Anseb, il sistema coinvolge oltre 3,5 milioni di lavoratori, sia nel pubblico che nel privato.
A trarne vantaggio, invece, saranno gli esercenti (bar, ristoranti, supermercati e negozi convenzionati) che fino a oggi erano costretti a sopportare commissioni spesso molto elevate.
Con il nuovo limite, potranno trattenere una quota maggiore del valore di ogni buono ricevuto, migliorando i margini e la sostenibilità del servizio.
Per i dipendenti, l’utilizzo dei buoni pasto non comporterà cambiamenti diretti: il valore nominale resterà invariato e le modalità di utilizzo rimarranno le stesse.
Tuttavia, la novità potrebbe favorire un aumento del numero di esercizi commerciali disposti ad accettare i buoni come metodo di pagamento, grazie a condizioni economiche più vantaggiose.
Attualmente considerati strumenti di welfare, i buoni non concorrono alla formazione del reddito imponibile fino al limite di 8 euro al giorno. Tuttavia, l’aumento dei prezzi alimentari negli ultimi anni ha reso questa soglia spesso insufficiente a coprire il costo di un pasto completo.
Un eventuale innalzamento a 10 euro potrebbe spingere le aziende ad aumentare il valore dei buoni pasto assegnati ai dipendenti, garantendo così un beneficio concreto agli utilizzatori quotidiani.