Il processo in tribunale è già una pena, figurarsi che cos’è un processo fatto dai social. Negli ultimi giorni il caso del padre indagato per omicidio colposo dopo la morte del figlio diciassettenne in una buca sulla spiaggia e quello del testimone che aveva “lasciato andare” il bambino di 5 anni poi ritrovato sano e salvo a Ventimiglia hanno riproposto il tema dell’accesso ai social.
L’editorialista del Quotidiano Nazionale Gabriele Canè ha commentato: “Una china pericolosa che trascina in basso tutto il sistema mediatico giudiziario. Rimedi? Una legislazione internazionale che regoli, sanzioni e obblighi i gestori dei social a vigilare sui contenuti. Difficile ma non impossibile. E una presa di coscienza degli utenti. Difficilissima perché gli imbecilli non capiscono di potersi trasformare. Anche in killer”.
Un commento che molti condividono e altri grideranno alla censura. Io sono tra i primi. Voi da che parte state?