Si chiama Lorena Venier e ha 62 anni la donna accusata - insieme alla nuora - dell'omicidio e dell'occultamento del cadavere del figlio Alessandro, 35 anni, trovato senza vita la mattina del 31 luglio 2025 nella casa di famiglia a Gemona del Friuli, in provincia di Udine.
Durante l'interrogatorio davanti al sostituto procuratore Giorgio Milillo, Venier, difesa dall'avvocato Giovanni De Nardo, ha ammesso le proprie responsabilità. "Ho fatto una cosa mostruosa", le sue parole.
Il corpo dell'uomo, ucciso e fatto a pezzi, era stato nascosto in un bidone nella cantina dell'abitazione, coperto con calce viva, affinché si decomponesse, senza rilasciare miasmi che potessero insospettire i residenti.
La donna, 62 anni, è infermiera. A Gemona del Friuli - dove si è consumato il delitto - la conoscono tutti. È "una donna affabile", secondo i vicini di casa. "A volte ci portava le uova. Non abbiamo mai sentito litigi", hanno raccontato al Corriere della Sera.
Il figlio, Alessandro, è nato dalla relazione con un uomo di origini egiziane che non lo ha mai riconosciuto: Lorena l'ha cresciuto da sola, a Padova. Poi i due si sono trasferiti in provincia di Udine, nella casa che attualmente condividevano anche con la compagna di lui e la loro bambina, nata sei mesi fa.
Cosa sia successo tra loro è ancora da ricostruire. Dalle prime informazioni emerse, sembrerebbe però che i rapporti familiari si erano fatti tesi poiché l'uomo - con piccoli lavori occasionali, ma nessuna occupazione fissa - non contribuiva alla gestione della casa.
Interrogata, stamattina, 1 agosto, Venier ha ammesso di aver avuto un ruolo attivo nell'uccisione del 35enne. "Sono stata io e ciò che ho fatto è mostruoso", avrebbe dichiarato di fronte al magistrato di turno. Una circostanza confermata anche dal suo avvocato.
"La mia assistita ha reso piena confessione - ha detto il legale all'Ansa - Come si può immaginare, era visibilmente scossa per la crudeltà della sua azione e per la contrarietà a qualsiasi regola naturale del suo gesto".
La donna avrebbe anche escluso "il coinvolgimento di terzi oltre alle persone che abitavano nella casa assieme a lei", tirando in ballo, dunque, la nuora, Mailyn Castro Monsalvo, 30enne di origini colombiane, della quale avrebbe parlato come di una figlia.
È nel loro "legame eccezionale", forse, la "spiegazione di ciò che è accaduto" e che gli inquirenti ora sono impegnati a chiarire.
Il delitto sarebbe avvenuto la sera del 25 luglio scorso. Il ritrovamento, invece, risale alla mattina di ieri. Sono state le due donne a dare l'allarme, mettendosi in contatto con il numero unico per le emergenze 112.
L'ipotesi è che il 35enne sia stato prima stordito con i farmaci prescritti alla compagna, affetta da depressione, e poi colpito con un'arma tagliente, forse l'ascia con cui il suo corpo sarebbe successivamente stato smembrato in tre parti.
Maggiori risposte in tal senso potranno arrivare, però, solo dall'autopsia. Proseguono, intanto, gli accertamenti della scientifica nella villetta. Al momento non sarebbero state trovate evidenti tracce di sangue.
L'interrogatorio della 30enne indagata, inizialmente previsto per la giornata di oggi, è stato rinviato. Sia lei che la suocera si trovano nel carcere Coroneo di Trieste in attesa dell'udienza di convalida.
La figlia della vittima è stata affidata ai servizi sociali. "La vicenda è delicatissima e serve la massima cautela", ha fatto sapere all'Ansa l'avvocata Federica Tosel, che insieme al collega Francesco De Carlo assiste Monsalvo.