Un giovane studente idealista, un gruppo anarchico, una spirale pericolosa fatta di crimini, passione e segreti.
Una vita onesta è il thriller svedese disponibile su Netflix che sta scalando le classifiche di tutto il mondo.
La sua atmosfera cupa e il ritmo da thriller psicologico stanno conquistando milioni di spettatori.
La storia raccontata è realmente accaduta? Scopriamo i dettagli.
No, Una Vita Onesta, il nuovo dramma svedese di Netflix, non si basa su una storia vera, ma è tratto dall'omonimo romanzo di Joakim Zander.
È un film che merita di essere visto, ma che ti costringe a fare i conti con ciò che avrebbe potuto essere.
Guarda il trailer, grazie a MovieDigger:
La regia di Mikael Marcimain è, come sempre, una garanzia di squisita fattura. Insieme al direttore della fotografia Joe Maples, costruisce un mondo che è un piacere per gli occhi.
La telecamera di Marcimain è un'entità viva, che si muove con una grazia e un'intelligenza rare, passando da campi lunghi che respirano a primi piani che soffocano, trovando quasi sempre l'inquadratura perfetta. Gli ambienti, le luci, i colori: tutto contribuisce a creare un'atmosfera densa e palpabile, un guscio visivo quasi perfetto.
La storia segue Simon (Simon Lööf), un giovane che arriva a Lund per studiare legge, ma che cova nel cassetto il sogno infranto di diventare scrittore.
Il suo ingresso nel mondo universitario è un'esplosione di vita: una manifestazione, una rapina e l'incontro fatale con Max (Nora Rios), una ragazza enigmatica che lo trascina in un vortice di pericolo e passione.
Tra i due protagonisti scatta una scintilla irrefrenabile, una chimica sensuale e tesa che ci terrà incollati allo schermo.
Unendosi a un gruppo di giovani ribelli con convinzioni radicali, Simon si allontana dalle sue ambizioni originarie e si ritrova in un mondo dominato dalla violenza sociale e dalle lotte di potere
Proprio quando questa connessione dovrebbe esplodere che la narrazione inciampa. I dialoghi, a tratti, suonano goffi, artificiali, come se appartenessero a un film diverso, meno curato.
Questo contrasto stridente tra la perfezione visiva e l'imperfezione della parola scritta crea una frattura, riportano lo spettatore alla realtà proprio quando dovrebbe perdersi nella finzione.
Questa superficialità si estende anche ai temi trattati. Il film sfiora spunti interessanti, accenna a filosofi e a questioni esistenziali, ma non ha mai il coraggio di affondare davvero il coltello.
Sembra accontentarsi di essere un racconto di formazione per una generazione abituata a una narrazione veloce e leggera, senza mai approfondire le questioni che solleva.
Persino la battuta finale, che dovrebbe chiudere il cerchio tematico, finisce per smorzare l'intensità di un momento fondamentale e lascia un senso di insoddisfazione.
Eppure, nonostante le sue mancanze, Una Vita Onesta non è un film da scartare. È un'esperienza che vale la pena fare, soprattutto per ammirare il talento visivo di Marcimain e per scoprire la performance di Peter Andersson, che in ogni scena in cui appare domina lo schermo con una presenza magnetica.
Questo film piacerà agli amanti dei thriller psicologici e dei drammi sociali. A coloro che amano le storie in cui gli ideali si scontrano con la violenta realtà delle relazioni umane.
Le dimensioni queer e politiche della trama, unite alla tensione crescente e alla messa in scena realistica, rendono comunque questo un film coinvolgente e accessibile.
È un'opera che si ammira, ma che ascia l'amaro in bocca per ciò che avrebbe potuto dire.