"My Oxford Year" è sbarcato su Netflix con la forza emotiva di un treno in corsa, ma ha anche diviso il pubblico: c’è chi ha amato la sua poetica malinconia, e chi si è sentito pugnalato al cuore dal finale, decisamente diverso da quello del libro. Se non volete spoiler allora vi conviene cambiare pagina, altrimenti ecco perché Jamie (interpretato dal sempre più lanciato Corey Mylchreest) muore nel film, mentre nel romanzo di Julia Whelan - da cui tutto nasce - le cose prendono una piega più aperta e, in un certo senso, speranzosa.
La risposta arriva direttamente dai protagonisti: Sofia Carson e Corey Mylchreest hanno spiegato perché hanno voluto cambiare il corso della storia, facendo scelte narrative forti, ma secondo loro coerenti con il messaggio del film.
"Meglio aver amato e perso che non aver mai amato" recita il motto che guida la protagonista Anna, e questa frase - tratta dal poeta Alfred Tennyson - è diventata il cuore pulsante del film. Ma che cosa è successo dietro le quinte? Perché gli autori e il cast hanno deciso di uccidere Jamie e lasciarci con le lacrime agli occhi?
Per chi sperava in una risoluzione diversa, Corey Mylchreest ("La Regina Carlotta") ha tolto ogni dubbio: "Il ragazzo è morto". L’attore britannico, che nel film interpreta il fascinoso e tormentato professore Jamie Davenport, ha spiegato che il team creativo ha scelto di concludere il film in modo più netto rispetto al romanzo per sottolineare il valore della vita nei suoi attimi più intensi:
In "My Oxford Year", Jamie è affetto da una forma rara e terminale di cancro. Dopo aver scelto di non proseguire le cure, vuole semplicemente vivere appieno il tempo che gli resta. Questa consapevolezza pervade tutto il film e spinge Anna (Sofia Carson) a restare con lui, rinunciando a una brillante carriera alla Goldman Sachs per vivere l’amore, anche se breve. Un amore vissuto fino all’ultimo respiro, letteralmente.
Il montaggio finale, con Anna che immagina di vivere il suo "grand tour" europeo con Jamie, è un colpo al cuore. Ma quando lui svanisce e resta solo lei sulla spiaggia, lo spettatore capisce: era tutto un sogno. Jamie non c’è più.
Sofia Carson, attrice e produttrice del film, ha rivelato che la decisione di cambiare il finale è stata ponderata e condivisa da tutti:
Infatti, la pellicola non si concentra sulla morte, ma su ciò che resta dopo: la trasformazione. Anna non è più la ragazza con il taccuino pieno di obiettivi da spuntare; è una donna che ha vissuto, ha amato e ha trovato il coraggio di scegliere se stessa. Lo si capisce benissimo nella scena finale: Anna ritorna nell’aula di poesia dove aveva seguito Jamie e inizia il suo primo giorno da docente. Una torta Victoria Sponge, come quella che Jamie portava ai suoi studenti, suggella il passaggio di testimone.
Il dolore non scompare, ma diventa motore di cambiamento. Anna ha deciso di restare a Oxford, di non inseguire un futuro prestabilito, ma di scrivere il proprio. E lo fa nel nome di Jamie, ma soprattutto nel nome di sé stessa.
Nel romanzo di Julia Whelan (che, curiosamente, nasce da una sceneggiatura cinematografica), il destino di Jamie resta più sospeso. Anche se la malattia è presente, Jamie sopravvive alla polmonite e riesce a prendere parte a una sperimentazione medica. Non c’è una guarigione miracolosa, ma si apre uno spiraglio di vita: Jamie e Ella (così si chiama Anna nel libro) possono partire per quel viaggio in Europa che avevano sempre sognato.
Nel romanzo, il distacco tra loro è emotivo più che fisico. Ella sa che la loro storia non potrà durare per sempre, ma non viene mostrata la morte del protagonista. Inoltre, la protagonista rifiuta il suo lavoro nella campagna elettorale americana per inseguire la poesia - proprio come nel film - ma senza il velo funebre che accompagna l’ultimo atto del film Netflix.
Il libro lascia spazio a una riflessione dolceamara. Il film, invece, affonda il coltello nel cuore per poi offrirci un balsamo fatto di poesia, consapevolezza e rinascita. Non c’è un "vissero per sempre felici e contenti", ma c’è una verità più profonda: vivere ogni attimo intensamente.
E forse, proprio per questo, "My Oxford Year" ha scelto il coraggio del dolore per raccontare la forza dell’amore.