Ucciso e fatto a pezzi da chi avrebbe dovuto amarlo più di chiunque altro al mondo: sua madre Lorena Venier, con la complicità della compagna Mailyn Castro Monsalvo, da cui aveva appena avuto una figlia.
Alessandro Venier aveva 35 anni: i suoi resti sono stati trovati all'interno di un bidone nel garage di casa a Gemona del Friuli, coperti di calce. Un delitto avvenuto il 25 luglio 2025, ma scoperto dai carabinieri alcuni giorni dopo, in seguito alla telefonata di Mailyn al 112.
Cosa può aver spinto una madre e una fidanzata a un delitto tanto efferato? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Silvia Michelini, Psicologa e Criminologa Clinica specializzata in Trauma, Relazioni e Disturbi di Personalità con particolare riferimento ai disturbi anti-sociali.
“Nei casi di omicidio come questo, le cause che conducono all’azione criminogena devono essere inquadrate all’interno di un modello bio-psico-sociale e risultano tipicamente multifattoriali: entrano cioè in gioco variabili biologiche, psicologiche, relazionali e ambientali", spiega a TAG24.
"La freddezza con cui la donna ha narrato l’evento omicidiario potrebbe rappresentare l’espressione di uno stato dissociativo. Tale distacco emotivo può riferirsi a un meccanismo di difesa post-traumatico transitorio o a una condizione stabile del carattere, associata cioè a tratti di personalità caratterizzati da ridotta o assente empatia. Infine, potrebbe configurarsi come una desensibilizzazione progressiva legata a condizioni prolungate di stress, isolamento e deterioramento psichico. L’eventuale natura psicopatologica e la sua intensità andranno verificate in sede peritale".
Lorena Venier, 61 anni, di professione infermiera, ha confessato l'omicidio del figlio, affermando di aver fatto una cosa "mostruosa" insieme alla nuora. Il legale della donna ha annunciato che chiederà una perizia psichiatrica.
Secondo la dottoressa Michelini, è possibile ipotizzare che la madre della vittima presenti una caratteropatia o un disturbo di personalità ancora da accertare, associato a una condizione psichiatrica con livello di gravità psicotica (depressione, stati paranoidi deliranti..)
Tuttavia, precisa che, “quando si parla di gravità psicotica, questa viene automaticamente associata all’incapacità di intendere e volere, ma sono due aspetti distinti. È possibile infatti avere un disturbo psicotico della personalità mantenendo piena capacità di intendere e volere; così come può insorgere un episodio psicotico clinico transitorio, con momentanea incapacità. Vi sono anche casi di incapacità dovuti a ritardo mentale, che vanno sempre accertati".
Nel caso specifico, però, "non sembra trattarsi di questo, poiché chi agisce in uno stato mentale di incoscienza non pianifica nei minimi dettagli un delitto. L’azione è stata infatti accompagnata da elementi quali premeditazione, vilipendio, depezzamento e occultamento di cadavere".
Ciò indica che, nel momento del fatto, "la persona era perfettamente capace di intendere e volere", sottolinea l’esperta. "La confessione, quindi, può avere significati diversi: un reale pentimento oppure una strategia mirata (anche inconscia) per ottenere una pena minore".
Nel caso del delitto di Gemona, aggiunge la dottoressa Michelini, “abbiamo un omicidio in più fasi, premeditato e aggravato, con un piano elaborato nei giorni precedenti. Siamo di fronte a una psicosi paranoide – tecnicamente definita follia a due, folie à deux – ma non è ancora chiaro chi abbia influenzato chi”.
La 30enne compagna di Alessandro Venier non è stata ancora sentita: ha avuto un malore in carcere a Trieste e l'interrogatorio con gli inquirenti è stato rimandato.
"Nei prossimi giorni, quando starà meglio, è possibile che anche per lei venga richiesta una perizia. Secondo quanto emerso, sembra abbia una depressione post-partum. Quindi potrebbe essere maturata nel corso del tempo, una visione paranoide tra le due donne, che si sono auto-influenzate; oppure una delle due potrebbe essere stata dominante in questa dinamica. Venier è stato visto come un nemico, come colui che avrebbe scisso e diviso la coppia madre e nuora oltre che portarsi via la nipotina (Lorena Venier ha definito Mailyn come 'la figlia che non ho mai avuto', ndr)".
"Non ci sono giustificazioni in un omicidio" tiene a evidenziare la dottoressa Michelini. Se una madre arriva a uccidere il proprio figlio "c'è chiaramente un disturbo di personalità o psichiatrico da accertare".
Alessandro Venier ha lo stesso cognome della madre perché figlio di un uomo di origini egiziane che non l'ha mai riconosciuto.
"Lorena ha cresciuto questo figlio da sola: non sappiamo se la depressione post-partum di Lorena si sia 'congelata' per poi riemergere oggi, in concomitanza con quella della nuora, nella quale è possibile che si sia identificata" spiega ancora l'esperta.
Il trigger di innesco? L’abbandono.
"Lorena può aver proiettato la sua immagine di donna con un figlio problematico su Mailyn, che però ha avuto una bambina: la figlia femmina che lei aveva sempre desiderato. Questo quadro si incrina quando Alessandro decide di andarsene in Colombia, a causa di problemi con la giustizia, portando con sé compagna e figlia; l'innesco del delirio paranoide può essere stato anche la paura di non rivedere più né la nuora, né la nipotina" spiega la dottoressa Silvia Michelini.
"Possiamo quindi ipotizzare una possibile psicosi puerperale silente, esasperatasi in anni di sopportazione di un legame disfunzionale col figlio, una sorta di 'infanticidio simbolico e tardivo', che rappresenta anche un attacco deliberato ad un maschile vissuto come oppressivo, persecutorio, limitante e ingiusto".
Da quanto emerge, Lorena ha dichiarato che Mailyn fosse in pericolo. "Un elemento che riflette tipicamente il funzionamento paranoide, in cui il soggetto è convinto che qualcuno voglia arrecargli del male e quindi deve difendersi a ogni costo" evidenzia l'esperta.
"In questo contesto si attiva un vero e proprio cortocircuito disfunzionale: la percezione persecutoria si traduce in un’aggressività difensiva estrema, che porta alla frantumazione simbolica del legame affettivo con il figlio. L’atto di fare a pezzi il corpo non è solo un gesto fisico, ma assume una valenza simbolica, quella di distruggere un 'oggetto' percepito come fonte di minaccia o dolore; il legame spezzato non è solo materiale ma anche psichico. Tale gesto estremo cruento ed efferato potrebbe essere quindi l’esito tragico di un odio represso verso il figlio, che incarnava un vissuto di abbandono, frustrazione e sofferenza non elaborata".
Una dinamica che "si inserisce in un quadro complesso di folie à deux in cui madre e nuora, attraverso un 'contagio paranoide', hanno costruito una narrazione persecutoria condivisa. Tale sinergia disfunzionale ha aggravato lo stato di dissociazione e alterazione della realtà, alimentando la drammatica escalation criminale".
Una lucida assassina del proprio figlio, ma anche una madre che si preoccupa di realizzare l'ultimo desiderio di Alessandro: portare i suoi resti in montagna.
Era questo il progetto di Lorena e Mailyn, prima che la 30enne avesse un cedimento e avvisasse le forze dell'ordine. Ma cosa nasconde questo duplice aspetto di Lorena?
"Attendiamo l’esito della perizia. Vedremo quale disturbo le verrà diagnosticato: se paranoide, narcisistico, antisociale, borderline. Sembra quasi ci fosse un 'conto in sospeso' tra lei e il figlio: uccide perché pensa di fare il bene" risponde la criminologa.
Nel corso della confessione, Lorena Venier ha dichiarato di aver pianificato l'omicidio del 35enne anche per proteggere nuora e nipotina.
"Si era eretta a ruolo di salvatrice? È possibile, ma non sappiamo chi credeva davvero di salvare tra sé, la nipote e la nuora. Anche il depezzamento del cadavere, in questa criminogenesi può avere un significato simbolico: 'Io ti ho creato, io ti distruggo'" evidenzia l'esperta.
"C'è chiaramente una de-soggettivazione del figlio, che cela questa rabbia per il suo fallimento come madre. Distruggere il corpo è distruggere il legame. Farlo a pezzi è negare l'origine di questo trauma".
Chi era la vittima Alessandro Venier? Nelle ultime ore sono emersi i suoi presunti maltrattamenti nei confronti di Mailyn e il tentativo della madre, non riuscito, di denunciarlo.
"In criminologia è importante anche la vittimologia" spiega la dottoressa Michelini. "Quindi analizzare chi era la vittima e in quale modo possa aver partecipato all'ideazione criminogena. Questo non significa che sia colpa sua: è un aspetto che permette di comprendere tutta la fenomenologia dell'azione criminale".
Secondo l'esperta sono subentrati diversi fattori che hanno poi dato origine al terribile omicidio.
"Il risultato di questa presunta depressione post-partum e della disfunzionalità caratteriale di Lorena, con la compartecipazione sempre disfunzionale di Mailyn, ha fatto poi cortocircuito con l'atteggiamento di questo ragazzo, che già in giovane età aveva manifestato comportamenti definiti 'esplosivi intermittenti'" spiega la dottoressa Michelini.
"Questo disturbo è caratterizzato da piccoli atti aggressivi, maltrattamenti sugli animali, difficoltà a integrarsi nel contesto sociale con condotte antisociali. Il maltrattamento sugli animali è anche considerato un possibile indicatore di psicopatia" sottolinea.
"I racconti delle violenze su Maylin potrebbero essere reali, anche se non c'è la denuncia. È possibile quindi che la madre fosse estenuata da una vita in cui aveva sopportato il figlio. Ci si potrebbe chiedere perché, a un certo punto, non lo avesse allontanato da casa. Nei casi di disfunzionalità familiare così alti, molto spesso la donna crede di dover portare questa 'croce'. L'unica cosa bella che gli aveva dato questo figlio, forse, erano proprio questa nuora e questa nipotina".
"O agivamo subito o Mailyn era in pericolo", "Dovevamo ucciderlo quanto prima" avrebbe dichiarato Lorena Venier agli inquirenti.
"Se questo è lo scenario, che dovrà chiaramente essere provato, è una tragedia a 360 gradi, dove non è giustificabile il fatto di avere un figlio antisociale e poi di ucciderlo e farlo a pezzi. Ma in alcuni contesti anche psichiatrici, e non diagnosticati, l'omicidio può apparire come una via d'uscita".
Decidere di fare a pezzi il corpo, ribadisce la psicologa e criminologa clinica Michelini, "è simbolo di distruzione, di un legame che non si riesce a distruggere in nessun altro modo. Vedremo quali elementi emergeranno dagli accertamenti tecnici e processuali".