Il 21 aprile del 2020, in piena pandemia da Covid-19, durante la quarantena, negli Stati Uniti è stato pubblicato per la prima volta Se Scorre il Sangue, la dodicesima antologia di racconti scritti dal grande maestro dell’orrore Stephen King. Il libro, composto da quattro novelle (Mr. Harrigan's Phone, The Life of Chuck, If It Bleeds, Rat), è giunto ai lettori in un momento di estrema criticità per l’umanità, obbligata a misurarsi globalmente, in maniera violenta e quasi irrealistica, con la morte e l’impotenza dell’essere umano dinnanzi alla natura. Piombati all’improvviso in uno scenario da film horror, simile proprio agli scritti di King, siamo stati costretti a confrontarci con la versione più sfrenata della paura, dell’istinto di sopravvivenza, della tristezza, della rassegnazione, ma anche dell’avidità, dell’opportunismo, della meschinità e dell’egoismo. Non so se avete mai letto The Mist, il romanzo del 1980, sempre di Stephen King, dal quale fu tratto l’omonimo adattamento cinematografico del 2007, diretto da Frank Darabont: ecco, per quanto la causa di un’imminente fine del mondo in quelle pagine non veniva attribuita a un virus mortale, bensì a delle creature mostruose che uscivano da una fitta nebbia, anche lì il consumarsi della tragedia finiva per tirare fuori la parte più oscena e cattiva delle persone, mentre tentavano di salvarsi. A ripensarci adesso, a livello morale, suonava profetico.
E dunque, l’opera Se Scorre il Sangue, in tempi di smarrimento esistenziale ed etico, avrebbe potuto fungere da Bibbia per gli atei. Se in Mr. Harrigan's Phone è come se non ci si rassegnasse all’inevitabilità del trapasso di un nostro caro, rimanendo con le mani saldamente attaccate all’unico modo per continuare a comunicarci nell’aldilà, in The Life of Chuck la morte diviene il principio e la nascita l’epilogo, per riuscire a farti percepire la dipartita come una cosa più naturale e meno raccapricciante di quanto non lo sia, nonché una tappa certa per ciascuno di noi, e per farti concentrare sul vero significato della vita, che non è di certo aspettare, terrorizzati, il giorno del proprio funerale. In If It Bleeds, invece, vengono raccontati il male e il sadismo che si annidano nella curiosità voyeuristica di cibare la coscienza con le notizie degli altrui decessi più cruenti. E in ultimo in Rat, prendendo ispirazione dal Faust di Goethe, si narra di quanto l’ambizione cieca possa alienare il pensiero, tentati dall’occasione ghiotta di concretizzare i desideri sacrificando l’esistenza di qualcun altro. Pagina dopo pagina, passando per ogni storia, leggendo questo libro sembra di scivolare nella mente umana, attraversandola come un astronauta che saltella nello spazio fra le stelle infinte.
E se nel 2022 è già stato fatto un film basato su una delle sopracitate novelle, Mr. Harrigan's Phone, dal cineasta texano John Lee Hancock, adesso è il turno di The Life of Chuck. Con la sceneggiatura e la regia di Mike Flanagan, che dopo cinque anni da Doctor Sleep (2019) torna a cimentarsi coi racconti di King, ci troviamo davanti a una delle trame più commoventi dello scrittore del Maine. Chuck è un uomo di trentanove anni che sta per morire e con lui sembra che l’intero globo stia per distruggersi. Lungometraggio suddiviso in tre capitoli, la morte, la vita adulta e l’infanzia, ci narra la storia di un individuo apparentemente comune di nome Charles Krantz. Presentato in anteprima al Toronto International Film Festival, il 6 settembre 2024, dove ha vinto il People's Choice Award, The Life of Chuck è stato realizzato senza l’uso di CGI. La fotografia, a cura di Eben Bolter, è molto evocativa, con il dosaggio della luce e dei colori che in ogni capitolo enfatizzano gli stati d’animo. Immagini nel complesso belle nella loro semplicità, soprattutto il cielo notturno stellato nel primo capitolo. Uno dei punti meno riusciti della pellicola ritengo che sia la voce narrante di Nick Offerman: alla maniera di un doppiatore di un documentario, racconta alcuni punti salienti dell’esistenza di Charles, proprio come se l’intero lungometraggio fosse un reportage e il protagonista un animale esotico nella giungla. Ne ho compreso lo scopo, ma è un aspetto che non ho comunque apprezzato fino in fondo.
Che dire, Stephen King è uno degli scrittori contemporanei più prolifici. Le sue opere sono da sempre suggestive e molto affascinanti, tant’è che hanno ispirato decine e decine di adattamenti per la TV e per il cinema. Dai migliori, ad esempio, Il Miglio Verde, 1408, Shining, Misery, Secret Window, Carrie, ai peggiori, come A Good Marriage, Riding the Bullet, Cell, L'Acchiappasogni. The Life Of Chuck, pur non annoverandolo fra gli indimenticabili, mi ha scaldato il cuore, mi ha commossa e mi ha divertita. Pertanto non me la sento di assegnargli un voto, perché sarebbe spiacevole come valutare la precisione tecnica di un piatto di pasta al forno cucinato dalla nonna. In Italia verrà distribuito nelle sale dal 18 settembre.