All’inizio c’erano solo attenzioni, messaggi affettuosi, carezze. Poi, poco alla volta, quelle stesse mani hanno iniziato a stringere troppo forte, quelle parole a ferire più di uno schiaffo. Quello che molte persone non sanno è che la violenza domestica è un processo che si costruisce lentamente. Raramente esplode all’improvviso ma segue un ciclo preciso e ripetitivo, un copione che si ripete con una regolarità inquietante. Riconoscerlo può fare la differenza tra rimanere intrappolati… o salvarsi.
La prima fase è subdola, silenziosa, quasi invisibile. Piccole critiche, commenti velenosi mascherati da “scherzi”, domande invadenti come "Con chi eri?" o "Perché non mi hai risposto subito?". All’inizio sembrano innocui segnali di gelosia o insicurezza, ma lentamente si trasformano in controllo costante: dove vai, come ti vesti, chi vedi.
La vittima inizia a modificare comportamenti e abitudini per “evitare di farlo arrabbiare”. Si cammina sulle uova, si scelgono le parole con attenzione, si rinuncia a uscire con amici o familiari pur di mantenere la calma. Ma la tensione, come una molla compressa, continua a caricarsi.
E poi, inevitabilmente, la molla scatta. La tensione accumulata si trasforma in violenza fisica, psicologica o sessuale. Può essere un’aggressione improvvisa, un urlo in faccia, un’umiliazione, un pugno al muro o in pieno volto. Questa fase è devastante perché colpisce su più livelli: il corpo, la mente, l’autostima. La vittima vive paura, shock e confusione.
Spesso, per sopravvivere psicologicamente, finisce per convincersi che forse ha “provocato” lei l’episodio, facendosi carico di una colpa che chiaramente è solo dell’aggressore.
E quando sembra che tutto sia finito, arriva la trasformazione . L’aggressore diventa dolce, premuroso, pentito. Piange, giura che non succederà più, promette di cambiare. Arrivano fiori, regali, messaggi d’amore, viaggi improvvisi o cene romantiche. Questa fase è la più pericolosa perché la vittima vuole credere alle promesse, e si aggrappa all’idea che la persona che ama possa tirnare com’era all’inizio della storia. Ma non è mai cosi.
Se nel ciclo della violenza non fosse presente la luna di miele, la vittima, al primo o al secondo episodio di violenza manifesta probabilmente fuggirebbe via dal suo carnefice. L’istinto di sopravvivenza la salverebbe. Ma la luna di miele serve proprio a riabbassare la tensione, riprendere la fiducia, riaccendere la speranza in un cambiamento, in modo che l’abusante possa poi ricominciare con gli insulti, gli abusi, i maltrattamenti. Il ciclo si ripete, e ogni volta la violenza tende a diventare più intensa, sempre più devastante.
L’alternanza tra paura e affetto crea un legame psicologico potentissimo, noto come trauma bonding. La stessa persona che ferisce è anche quella che consola, generando una dipendenza emotiva simile a quella che si sviluppa nelle dipendenze da sostanze: l’aggressore diventa sia la causa che la (falsa) cura del dolore.
A questo si aggiungono fattori concreti e paralizzanti:
• Paura di ritorsioni in caso di denuncia
• Dipendenza economica dal partner
• Isolamento sociale indotto dall’aggressore
• Vergogna, senso di colpa e paura di non essere credute
Il primo passo per interrompere il ciclo della violenza è riconoscerne i segnali: gelosia estrema, controllo ossessivo, minacce velate, e, soprattutto, alternanza tra aggressività e gesti affettuosi. Il secondo passo è chiedere aiuto subito, anche se la violenza non è (ancora) fisica: centri antiviolenza, psicologi, avvocati e forze dell’ordine sono strumenti essenziali per proteggersi.
La consapevolezza che il ciclo non si interrompe da solo, e che ogni episodio può essere più grave del precedente, è la chiave per salvarsi. Nessuna promessa, nessun mazzo di fiori, nessuna lacrima può giustificare un atto di violenza. Lui (o lei, in alcuni casi seppur rarissimi) non cambierà e, in fondo , lo sanno entrambi. Il ciclo della violenza domestica non è altro che una manipolazione continua.
Spezzarlo non è semplice, ma conoscere il fenomeno e riconoscerne le dinamiche è il primo passo per intravedere le vie di fuga e costruire per sé una vita libera dalla paura.
A cura di Simona Ledda