La prima volta che sono stata ricoverata in ospedale avevo nove anni. Era il 15 giugno 1999. Durante una vacanza dai miei nonni a Palermo mi è stato diagnosticato il diabete di tipo 1, per cui è stato poi necessario tenermi sotto osservazione per una ventina di giorni. Da quel momento sono entrata a stretto contatto con il mondo ospedaliero e con le figure medico-sanitarie che ne fanno parte. In ventisei anni di malattia i miei occhi hanno incrociato lo sguardo di centinaia e centinaia di medici, primari, specializzandi, infermieri e, credetemi, purtroppo ho imparato troppo presto che, quando si entra in un ospedale, bisogna tenere le orecchie sempre ben aperte e non abbassare mai la guardia. Benché mi fidi ciecamente della scienza e della medicina, potrei stilare una lunghissima lista di persone incapaci, per stupidità o per eccesso di immotivata arroganza, di lavorare in ambito medico. Uno degli errori non da poco di cui ho memoria, è stato quello di portarmi una dose abbondante di litio al posto della tachipirina: se non avessi controllato l’interno del contenitore prima di mandare giù le pillole, le conseguenze sarebbero state assai spiacevoli. E questo è l’episodio meno grave che posso raccontare. Ma fra gli inetti, i vanagloriosi o chi semplicemente possiede un quoziente intellettivo non all’altezza di una responsabilità simile, ci sono anche tantissime persone di spiccata intelligenza, empatia e dedizione nei confronti di un mestiere tanto bello quanto disgraziato, che purtroppo possono comunque inciampare in errori che rientrano nell’umana fallibilità.
Fra questi c’è Floria, la protagonista del nuovo lungometraggio scritto e diretto dalla cineasta svizzera Petra Volpi. L’Ultimo Turno, così è intitolato, è stato presentato in anteprima il 17 febbraio 2025 alla 75ª edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino e distribuito nelle sale italiane a partire dal 20 agosto scorso. Al centro della storia c’è per l'appunto lei, Floria, interpretata dall’attrice tedesca Leonie Benesch, durante uno dei suoi turni al cardiopalma da infermiera in una struttura ospedaliera a corto di personale, nel cantone tedesco della Svizzera. In reparto, a soccorrere i pazienti ricoverati, ci sono soltanto lei e una sua collega insieme a una giovane tirocinante, ancora inesperta. Il film, già nelle scene d’apertura, si mostra subito al pubblico come una sorta di documentario: la Volpi in questo fa una scelta orientata nel realismo più crudo, aprendo le danze con la protagonista costretta a ripulire un’anziana signora, spaventata, poco lucida e per nulla orientata, sporca del suo stesso materiale fecale. La macchina da presa rincorre incessantemente, in un ritmo via via più serrato e ansiogeno, l’instancabile Floria, precisa, attenta, controllata, ma allo stesso tempo gentile, disponibile (anche troppo) e col cuore gonfio d’amore per tutti. Il punto focale della narrazione difatti è lei, o meglio il suo rapporto con il lavoro che ha scelto e che porta avanti con fierezza, seppur a fatica. Della sua vita personale difatti non sappiamo nulla, se non che sta affrontando un brutto divorzio e che la sua unica figlia non le parla, preferendo la compagnia del padre. Le altre figure che si alternano durante lo svolgimento della pellicola fanno da palcoscenico e hanno il solo scopo di permetterci di comprendere al meglio l’universo di una donna, una professionista, che pratica un mestiere logorante che richiede più passione che ambizione. La carriera da infermiere è spesso ingrata e se svolgi il tuo compito all’altezza delle aspettative ti porta via anche l’anima, ridandoti in cambio davvero poco, e la regista il messaggio ce lo trasmette forte e chiaro.
Un altro obiettivo di Petra Volpi è quello di porre l’attenzione sulla preoccupante mancanza di paramedici, anzitutto nel cantone tedesco in Svizzera: oltre a essere uno dei mestieri che ormai non vuole praticare nessuno, con uno scarsissimo numero di iscritti alla facoltà di Infermieristica, sono tantissimi i tirocinanti a lasciare gli studi in corso o coloro i quali abbandonano la professione dopo anni di servizio estenuante. Se è comunque vero che viviamo in un periodo socialmente critico per il mondo del lavoro, con tantissimi mestieri fondamentali che rischiano di estinguersi, doversi misurare nel quotidiano con la morte, con la sofferenza, con le menomazioni più raccapriccianti e con le malattie più disparate, richiede una forza mentale, una determinazione e un altruismo che al giorno d’oggi in pochissimi hanno. Ed è dunque ovvio che se una responsabilità così grande ricade su un personale esiguo, la possibilità di commettere errori gravi e irrimediabili diventa sempre più concreta. Nel campo sanitario non si possono commettere sbagli e, soprattutto se non hai colleghi con cui condividere il carico, un peso del genere a lungo andare può esaurire la psiche di chiunque. E anche Floria, che sembra essere inesauribile come una macchina da guerra, commette due errori imperdonabili, ma che sono frutto della stanchezza e di un peso emotivo che nessuno dovrebbe gestire da solo. Candidato come miglior film europeo ai prossimi Premi Oscar del 2026, L’Ultimo Turno, tra uno schiaffo e una carezza, l’ho trovato davvero una piccola perla. Ottima la regia di Petra Volpi al suo terzo lungometraggio di pregio che dirige una brillante Leonie Benesch, in un dramma tanto asfissiante quanto commovente. 4 stelle su 5.