04 Sep, 2025 - 14:12

Domizio Torrigiani non fu ingenuo ma generoso e leale

Domizio Torrigiani non fu ingenuo ma generoso e leale

Lo storico Mimmo Franzinelli nella recensione al libro di Fulvio Conti, Massoneria e Fascismo, edito da Carocci, dice che il personaggio principale del volume è Domizio Torrigiani, gran maestro del Grande Oriente d’Italia, eletto per tre volte nel 1919, nel 1922 e  nel 1925 e  in carica fino al 30 agosto del 1932. Franzinelli lo descrive come una “figura a suo modo generosa e ingenua; basti qui ricordarne il rimpatrio dalla Francia nell'aprile 1927, appena scagionato dall'accusa di complicità nel cosiddetto attentato Zaniboni del 4 novembre 1925, con il risultato di finire di filato in carcere e poi al confino”.

E’ una descrizione ingenerosa perché Torrigiani volle tornare in Italia, pur sapendo il destino cui sarebbe andato incontro ma decise di non lasciare i fratelli in balìa del regime di Benito Mussolini. Non volle essere sleale ed è per questo che non si merita la definizione di “ingenuo”. Da gran maestro scelse il carcere invece di restare all’estero. Dopo essere stato tradotto a Regina Coeli fu inviato al confino dapprima a Lipari e poi a Ponza dove le misure di sicurezza adottate nei suo confronti erano molto dure ma trovò il modo di costituire una loggia denominata Carlo Pisacane. 

Torrigiani riuscì a farsi trasferire in ospedale a Montefiascone per curare la malattia agli occhi e anche in questo caso la sorveglianza era opprimente. Morì a San Baronto a 52 anni, provato dalle sofferenze a cui il regime fascista lo sottopose perché capo della storica comunione massonica.

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