In questi giorni il Mediterraneo ospita una scena senza precedenti: una flotta di 70 imbarcazioni, con a bordo oltre 800 persone provenienti da 44 paesi, si prepara a salpare per Gaza. Si chiama Global Sumud Flotilla e porta con sé un carico speciale: non solo cibo, medicine e aiuti, ma anche speranza. A bordo ci sono cooperanti, giornalisti, medici, religiosi, insegnanti, semplici cittadini.
C’è una donna di 80 anni, ci sono giovani che non hanno mai messo piede su una barca, e ci sono organizzazioni come Emergency, che ha deciso di unirsi alla missione con la nave Life Support. L’obiettivo è chiaro: tentare di superare il blocco navale imposto da Israele e portare soccorso a una popolazione stremata dalla fame e dalle bombe. Un gesto umanitario, non violento, che però divide. Anche in Italia.
Un sondaggio di Termometro Politico, condotto tra il 2 e il 4 settembre, ha chiesto agli italiani cosa pensino della Flotilla. I risultati raccontano bene la complessità del tema.
Il 43,6% vede nella missione “una luce di speranza, l’unico esempio di opposizione al genocidio di fronte all’indifferenza o alla complicità dei governi”. È quasi un cittadino su due. Un dato che colpisce, perché va oltre il semplice sostegno a un’iniziativa solidale: dice che gli italiani cercano gesti concreti dove la politica internazionale resta ferma.
Un altro 14,7% sostiene la missione, ma con una condizione: che resti solo umanitaria, lontana da qualsiasi appoggio politico o ad Hamas. Un equilibrio difficile, che rispecchia il timore diffuso di vedere un gesto di pace trasformato in un’arma di propaganda.
Dall’altra parte, il 18,9% considera la Flotilla una provocazione delle frange radicali della sinistra, incapace di avvicinare la pace. E un ulteriore 18,6% la interpreta addirittura come propaganda anti-israeliana, accusandola di alimentare fake news e antisemitismo. Un 4,2% ha preferito non rispondere.
???? Sondaggio Termometro Politico
— Sondaggi Bidimedia (@SBidimedia) September 7, 2025
⛴️ Italiani a favore della missione Flotilla per Gaza
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Le ragioni di questa determinazione sono nelle cifre drammatiche. Secondo l’Integrated Food Security Phase Classification, oltre mezzo milione di persone a Gaza soffre già di fame diffusa. FAO, UNICEF, WFP e OMS parlano di un rischio imminente di carestia che potrebbe allargarsi a interi governatorati. Bambini, neonati, adulti trascorrono giorni interi senza cibo.
Di fronte a questa emergenza, la Flotilla non vuole solo consegnare pacchi di farina o medicinali, ma anche costringere il mondo a guardare. “Il mondo ha perso la bussola”, dice Boris. “Ogni giorno vengono uccisi giornalisti, ogni giorno muoiono bambini. Questa flotta vuole dire: basta. Vuole ricordarci cosa significa essere umani”.
E qui torna il nodo dell’opinione pubblica italiana. Quasi la metà del Paese vede in questa missione un atto di coraggio e di speranza, un segnale di umanità in un tempo in cui i governi restano immobili. Ma una parte non piccola guarda con diffidenza: teme che la solidarietà si trasformi in propaganda, o che il messaggio umanitario venga risucchiato nelle polarizzazioni della guerra.
La verità è che la Flotilla Sumud è già riuscita in una cosa: riportare l’attenzione internazionale su Gaza. Prima ancora di salpare, le sue barche hanno acceso un dibattito che tocca la coscienza di tutti. E forse è proprio questo il suo risultato più importante: ricordarci che, di fronte a un genocidio, non restare in silenzio è già un atto politico e umano insieme.