Da "separato in casa" a "eroe (non) per caso" è un attimo. Un gol. Un derby. Così torna "core de Roma", anzi Lore de Roma, come ha titolato il Corsport, per celebrare la resurrezione di Lorenzo Pellegrini, che fino all'ultima domenica estiva tutti i tifosi chiamavano "ex capitano" e dal primo lunedì autunnale è tornato solo e soltanto "Capitano". Senza "ex", che è un'etichetta quasi infamante per lo sport.
Quella di Pellegrini è la classica storia di capro espiatorio che si autotrasforma in eroe. Non l'unica di questo campionato. Prendete Dusan Vlahovic, per esempio. Alla Juventus lo consideravano colpevole di tutti i mali. Il male tecnico: non "stoppa il pallone" (cit.). Quello tattico: obbliga a giocare con due ali. Il problema ambientale: compromesso irrimediabilmente il rapporto con i tifosi. Il danno patrimoniale: non rinnoverà il contratto per andare via a zero.
L'angoscia economica: guadagna troppo, cioè i famosi 12 milioni annui, non equamente divisi tra parte fissa (8) e bonus (4). Insomma, DV9 era indicato come il male dei mali. Poi però ha segnato gol determinanti sia in campionato che in Champions ed è tornato mitico. In controluce si nota comunque un'evidenza: se Vlahovic segna, è una buona Juve. Se non segna, assomiglia a quella dell'anno scorso, come a Verona, al netto degli errori di arbitro e Var. E vale lo stesso anche per Yildiz: se brilla, bene. Se mostra un minimo di opacità, i bianconeri si mescolano come i colori della casa e tutto diventa un bel grigiume.
Che i singoli, meglio se campioni, incidano sul rendimento collettivo della squadra è una scoperta nuova solo per gli ottusi. Cioè quei babbei che hanno seguito le sfilate modaiole del gioco più importante dei giocatori e dell'impostazione dal basso più decisiva delle conclusioni dall'alto. Invece il calcio è tutt'altro e lo sta mostrando anche Allegri con il Milan: gli schemi sono gli stessi, ma il gioco non è lo stesso se - per esempio - il regista è Locatelli anziché Modric. Vecchio discorso. Ci sarà tempo per parlarne anche in futuro, quando l'allenatore più divisivo del decennio (Allegri, appunto) perderà la prima partita (succederà, ovvio) e allora i No Max torneranno a ruggire con le loro strampalate spiegazioni.
Non ci sono invece spiegazioni per il disastro arbitrale che da Milan-Bologna (doppio rigore negato) passa a Verona-Juventus (rigore regalato ed espulsione perdonata). Una settimana fa i colpevoli erano Marcenaro in campo e Fabbri al Var; stavolta Rapuano a fischiare e Aureliano a guardare. Annuncio semiufficiale per i media: sono già stati retrocessi in serie B. Due alla volta in purgatorio. E in questa commedia, se la Federcalcio continua così, fra un po' la serie A... non avrà più arbitri.
Saranno tutti in B. Perché mancano coerenza di decisione e coordinamento. Il braccio di Joao Mario non era da rigore, okay. Però in passato, e perfino un'oretta prima in Bologna-Genoa, lo stesso "fallo di mano" era stato punito con un rigore. La gomitata di Orban su Gatti era da espulsione, certo. Ma in verità non è la prima volta che sulle sbracciate/gomitate viene valutata - in modo soggettivo - "l'intensità", cioè quella via di fuga che consente a chiunque di dire tutto e il contrario di tutto. Esattamente come il pallone "inaspettato" che va sul braccio. Scusate, ma che significa? Se non fosse inaspettato, il pallone non finirebbe mai su una mano o un braccio. Semplicemente perché il difensore... se lo aspetta. E si scansa.