Una notizia, quella del 28 settembre, che ha scosso un caso giudiziario già controverso. Il DNA trovato sotto le unghie di Chiara Poggi è utilizzabile. Lo conferma la dottoressa Denise Albani, genetista incaricata dalla Gip Daniela Garlaschelli, dopo aver ricevuto e valutato i “dati grezzi” richiesti dalla stessa l’estate scorsa. Una verità che potrebbe ribaltare anni di conclusioni.
Una domanda su tutte: perché ci sono voluti anni per arrivarci? Le risposte sono tante e, a quanto pare, si nascondono tra perizie incomplete, dichiarazioni contraddittorie e una “leggerezza” giudiziaria che, vogliamo credere in buona fede, ha ostacolato la ricerca della verità. A parlarne ai nostri microfoni è Gianluca Zanella, il giornalista che, in tempi non sospetti, aveva già messo in discussione le perizie sul DNA.
Tutto ha inizio con l'archiviazione in tempi record dell’indagine su Andrea Sempio nel 2017. Durante una deposizione, il professor De Stefano, genetista incaricato della perizia, fece un'affermazione che per Zanella fu una vera e propria scintilla: “In merito alle polemiche seguite alla mia analisi, voglio specificare che...”. A quali polemiche si riferisce il professor De Stefano?
Approfondendo la questione, Zanella scoprì che la perizia del 2014, sebbene concordata tra tutte le parti, aveva prodotto risultati molto importanti. De Stefano, dopo aver eseguito un primo test esplorativo, aveva condotto una seconda analisi, quella che potremmo definire cruciale, che aveva rivelato picchi altissimi e la presenza di quello che oggi tutti noi conosciamo con il nome di aplotipo Y.
A quei tempi, il DNA era così confrontabile che il professor De Stefano sentì l’esigenza di convocare Alberto Stasi per un confronto. Poi però, in un passaggio che solleva non pochi interrogativi, il genetista decise di procedere anche a una terza analisi.
Fu questa terza prova a risultare fatale. Utilizzando un “residuo” di soli due microlitri di liquido (a fronte dei cinque utilizzati per il test più importante), De Stefano non ottenne un riscontro con il DNA di Alberto Stasi e, di conseguenza, si affrettò a concludere che il materiale genetico di Chiara Poggi fosse inutilizzabile e degradato.
L'intervista che Gianluca Zanella condusse con il professore nel 2022 fece emergere una contraddizione lampante. De Stefano sostenne che il residuo non era di due, ma di quattro microlitri, perché era stato “risospeso”.
Tuttavia, il giornalista ci tenne a precisare che questa informazione cruciale non era mai stata verbalizzata né inserita nella perizia ufficiale. Messo alle strette, il genetista ammise che “forse era nei miei appunti”, una giustificazione che, oggi, sembrerebbe proprio tradursi in un’ammissione.
Secondo Gianluca Zanella, la questione principale non riguarda tanto una presunta malafede del professor De Stefano, ma una grave mancanza da parte dei magistrati del 2017.
“A sbagliare sono stati loro,” ha dichiarato Zanella. “Hanno commesso una, chiamiamola così, leggerezza, affidandosi a un consulente che aveva già definito quel DNA degradato, un luminare nel suo campo, ma che si trovava, di fatto, a dover confermare o smentire il proprio lavoro”.
In un caso così delicato, la decisione di non affidarsi a un perito super partes per valutare la perizia originale solleva il pesante sospetto di un conflitto d'interessi. Il risultato è che la verità è rimasta nascosta tra le pieghe di una perizia lacunosa e una fiducia malriposta in un caso che, a distanza di 18 anni, continua a non avere e non dare pace.