Nelle tornate elettorali si discute molto del crescente assenteismo. C’è sempre più indifferenza, per utilizzare un’espressione cara a Piero Calamandrei, il giurista che in una famosa lezione agli studenti milanesi nel 1955 invitò i giovani a occuparsi di politica, a pensare al bene comune.
Il Sessantotto mise in primo piano l’esigenza di partecipazione alla vita pubblica dei cittadini e una delle canzoni più in voga negli anni successivi fu “la libertà” di Giorgio Gaber, uno dei cantautori più noti di quel tempo: “La libertà non è star sopra un albero/Non è neanche avere un’opinione/La libertà non è uno spazio libero/Libertà è partecipazione”. La canzone è rimasta un cult e viene fatta ascoltare in occasione di incontri pubblici dove si parla di diritti perché tra questi quello di partecipare è tra i più significativi. E’ un diritto che completa il dovere.
Partecipare vuol dire condividere, coinvolgere. E’ una pratica spesso faticosa, che richiede spiegazioni, mediazioni, mentre viviamo il tempo della fretta. Tutto e subito vogliamo e spesso, se parliamo di aziende, i manager non dedicano il tempo al coinvolgimento dei collaboratori che, invece, chiedono di partecipare. E anche i politici spesso trascurano i loro elettori fino al momento del voto, quando vanno a bussare alle loro case. E, a guardar bene i recenti dati elettorali è un toc toc poco gradito.