Devo ammettere che il cinema dei fratelli Coen mi ha sempre divisa a metà: se Fargo, ad esempio, mi è piaciuto moltissimo, Il Grande Lebowski e Non è un Paese Per Vecchi li ho detestati. Ma se c’è qualcosa che mi urta particolarmente è la spocchia autoreferenziale che assumono gli uomini quando, da donna, osi mettere in discussione la filmografia dei due cineasti del Minnesota. Non fraintendetemi, non ho mai affermato che Joel e Ethan Coen non sappiano fare questo mestiere, ma le loro pellicole a volte mi sono comunque risultate indigeste per l’eccessiva propensione al grottesco e a un genere che risultasse più maschile possibile, con il cliché dell’uomo strappato agli anni ’70. Proprio per questo l’estimatore delle opere dei Coen è spesso un maschilista che, con supponenza non richiesta, alla minima critica tenta di fare mansplaining, non accettando un parere femminile contrario o un possibile dibattito costruttivo in merito, come un poppante al quale viene strappato il giocattolo preferito. E la medesima boria, ahimè, l’ho riscontrata anche nei vari articoli negativi di recensione e critica a proposito di Honey Don’t, il secondo lungometraggio, facente parte di una trilogia di “film lesbici di serie B”, diretto da Ethan Coen e co-scritto e co-prodotto con la moglie Tricia Cooke.
Ethan e Tricia, benché lei sia dichiaratamente lesbica, stanno insieme da oltre trent’anni. La Cooke ha iniziato a collaborare con entrambi i fratelli Coen sin dagli anni ’90, ma come montatrice. La collaborazione artistica col marito, da sceneggiatrice, è iniziata solo di recente, vista dai fan come un tradimento inaccettabile, dopo che Ethan e Joel hanno deciso di separare le loro carriere da registi. Risale, infatti, al 2018 l’uscita de The Ballad of Buster Scruggs, l’ultimo progetto firmato da ambedue i fratelli. Dunque, a febbraio 2024 è poi uscito Drive-Away Dolls, il primo lungometraggio di finzione diretto soltanto da Ethan Coen, capitolo iniziale della trilogia sopracitata, coscritto insieme alla compagna Tricia. Seguito da Honey Don’t, che è stato presentato in anteprima, a maggio scorso, al Festival di Cannes 2025 e distribuito nelle sale italiane a partire dal 18 settembre. Il capitolo finale si chiamerà Go Beavers!, ma essendo ancora in fase di sceneggiatura, sempre insieme alla Cooke, non è ancora chiaro quale sarà la data d’uscita.
E bene, sia in Drive-Away Dolls che in Honey Don’t! la protagonista è interpretata dall’attrice statunitense Margaret Qualley che, dopo la parte marginale in Povere Creature!, di Lanthimos, nonostante avesse già una carriera avviata, sta letteralmente facendo il botto. A mio parere meritatissimo, visto il suo grande talento poliedrico e il viso dal fascino magnetico. Ma se Drive-Away Dolls, che ha una storia e dei personaggi a sé, non mi è piaciuto per niente e a tratti mi ha anche infastidita, Honey Don’t l’ho trovato gradevole e molto carino.
Ci troviamo in mezzo al deserto, in una cittadina di provincia statunitense, dove un’investigatrice privata si ritroverà a indagare a proposito di una serie di misteriose morti legate al pastore corrotto della parrocchia evangelica locale. L’intero film è stato girato più o meno nell’arco di due mesi, tra marzo e maggio 2024, in New Messico, nei pressi di Albuquerque. Il genere è un ibrido fra la commedia, il grottesco, il noir e il poliziesco e la sceneggiatura, così come la regia, strizzano sfrenatamente l’occhio al cinema di Tarantino. A partire dall’estetica pulp, con la fotografia, le ambientazioni e i costumi di scena che rimandano ai film di serie B degli anni ’70. Ma anche i dialoghi, contraddistinti da humor nero e i richiami sopra le righe a una sessualità spinta. Così come, inoltre, le scene di violenza, surreali e quasi fumettistiche.
Quindi, benché non si tratti di una pellicola ricca di originalità, è un prodotto godibile e assai divertente. Pertanto non posso trovarmi per nulla d’accordo con chi gli ha assegnato 2 stelle su 5 o addirittura 1,5. Pur non essendo un capolavoro memorabile è comunque una commedia piacevole e ben girata. Se proprio devo assegnargli un voto, 3,5 stelle su 5.